The essence of Italy, if there is one, perhaps lies in a grammatical prefix. When one tries to answer the synthetic question “Who are we?” (given that such a question may have a meaning when applied to a historical collective entity in continuous flux such as a nation), one may attempt an analytical formulation: what we are might be expressed in the prefix “re-“ or “ri-.”It is not by chance, in fact, that the decisive moments in Italian history have a name that starts with such a prefix: Renaissance, Resurgence [Risorgimento], Resistence, Reconstruction. If attempting something like a theoretical deduction of Italianness (of which doubting is legitimate) makes any sense at all, grammatical analysis might perhaps be of help.
Country Code (/Prefix): Re-
francesca dell'orto
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Un’osservazione: la doppia aspettualità dell’Italia ha, come mi pare emerga anche dal tuo articolo, almeno una radice nella teologia cristiana, in questo senso fortemente in contrasto con l’atteggiamento metafisico (il quale è sempre un pensiero del due, direi, ma che procede per dualismi, cioè per esclusione, e non per aggiunta, cioè per inclusione). Ora, però, levinassianamente, il due non diventa troppo facilmente uno, l’aggiunta inglobamento e l’amore ingiustizia? L’(anti)metafisica dell’aggiunta non sarebbe di per sé insufficiente a garantire la tenuta di una società e, anzi, troppo facilmente corrosiva là dove finisce per impedire, sulla base di una “generosità” ontologica, di distinguere secondo quei fondamenti, di valore, di merito, etc., che normalmente reggono le istituzioni e i rapporti tra gli individui? Non voglio con questo sembrare reazionaria, condivido la tua analisi e anche la tua proposta, ma credo si debba anche considerare la possibilità (ormai già passata all’atto, a giudicare dalla retorica sofistica e qualunquista sdoganata dal berlusconismo, in cui diventa accettabile sostenere tutto e il suo contrario, e le istituzioni vengono internamente delegittimate smascherandone il momento “eccezionale”) che dal due si passi all’omologazione dell’indifferenziato, a sua volta altrettanto violenta quanto la mera esclusione. In questo senso, qual è il “pharmakon” fornito da una teoria dell’aggiunta? Dove risiede la sua normatività?
enrico guglielminetti
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Grazie! Quella dell’aggiunta è una teoria della redenzione, come tale dotata – mi pare – di una normatività intrinseca molto esigente. Che la biaspettualità abbia virtualità negative (ma per fortuna non solo), cerco invece appunto di argomentarlo, e hai ragione a usare il termine “retorica sofistica”. Anticipo anzi che, proprio per questo, il nr. 4 di Spazio filosofico sarà dedicato a “Sofisti”. Ce n’è un sacco in giro, quasi sempre travestiti da apostoli della verità.
Grazie per il commento.