
Sul piano culturale i sentimenti sono stati assunti anzitutto come indizi di uno stato psicologico che riguarda l’individuo, in secondo luogo come rilevatori di un sentire collettivo e infine, in qualche più sporadico, anche se autorevole, caso, come spie di un’originaria, incorrotta natura morale. Se consideriamo in particolare il pudore, appare di particolare rilievo il fatto che l’intreccio tra dimensione individuale e orizzonte collettivo risulti strettissimo. Il pudore o la vergogna (in molti usi linguistici i due termini appaiono indistinguibili) riguardano sempre l’identità di un soggetto nel suo rappresentarsi di fronte all’altro (fosse pure soltanto l’altro della propria coscienza). Per questa ragione appare a tutta prima difficile individuare in che misura il pudore sia un sentimento originario o non piuttosto un costrutto culturale, come sembrerebbero confermare indagini socio-antropologiche che evidenziano il modo differenziato in cui il pudore si manifesta a seconda della civiltà. Normalità di comportamento e oltrepassamento dei limiti con conseguente insorgere di sensi di vergogna appaiono non solo variamente identificati, ma talora persino capovolti in epoche e in società diverse. Tutto ciò rende possibili indagini psico-sociologiche e trattazioni antropologico-storiche in grado di lumeggiare descrittivamente l’evoluzione del senso del pudore. Queste indagini forniscono un materiale indispensabile, ma, come ogni descrizione, non riescono (né invero intendono) a individuare il proprium strutturale del pudore. E non lo fanno neppure quegli studi che lo leggono come fenomeno interno alla morale o lo considerano esclusivamente come stato psicologico. In entrambi i casi il pudore si riduce a segno di qualcos’altro, sia esso l’immacolatezza della coscienza o la conformazione del carattere.
Ho la presunzione di pensare che alla filosofia, in quanto sapere che si affatica ontologicamente intorno all’essere delle cose, competa il compito di tentare una definizione complessiva, e in qualche modo “essenziale” dei suoi oggetti, in questo caso del pudore e, più ampiamente, del sentimento. Questa presunzione, peraltro, non è inconsapevole dei limiti strutturali del discorso filosofico, il quale non solo ricava dalle scienze empiriche, e in senso lato dall’esperienza, il proprio materiale, ma sulle une e sull’altra misura la propria ambiziosa proposta di interpretazione. Poiché altrove ho diffusamente cercato di dipanare il significato del sentimento in generale, inteso in ultima analisi come la forma più prossima alla perduta immediatezza della vita, come legame prezioso con quella e indispensabile interlocutore della ragione, mi concentrerò qui su qualche più specifica considerazione relativa al pudore.
Il Pudore