
Prima di essere un atteggiamento, il pudore è uno stato emotivo; e, come tutte le emozioni, è parzialmente indeterminato. Nella sua incertezza, tuttavia, il pudore è sicuro di sé: non sa ancora esattamente quale forma assumere, e però è definito dal rifiuto istintivo dell’informe: sa che l’informe non potrà essere mai la sua meta.
Quali potrebbero essere dunque le mete del pudore? Uso un termine freudiano, uno dei termini con cui Freud indica i quattro fattori della pulsione; credo che la concezione del Trieb sia un buon punto di partenza per tutti gli stati emotivi. Preliminarmente allo smontaggio in diversi fattori, dobbiamo però considerare la “natura” della pulsione: o meglio il suo statuto teorico, perché la pulsione non ha una natura o un’essenza, nell’accezione tradizionale. In quanto definita dalla pulsionalità, la condizione umana è fondamentalmente plastica.
Freud non è certamente il primo a insistere su una caratteristica che non è una proprietà, bensì un modo d’essere (per riprendere una delle distinzioni heideggeriane di Essere e tempo). All’inizio della sua grande opera, Montesquieu caratterizzava così la nostra condizione: “l’homme, cet être flexible”. Una definizione che anticipa quella nietzscheana dell’uomo come l’animale non ancora stabilmente determinato – non ancora: cioè mai, in una prospettiva che privilegia la virtualità. Ebbene, Freud non si limita a inserirsi in una tradizione, i cui rappresentanti più prestigiosi sono stati quasi sempre fraintesi: nella flessibilità si è voluto vedere una giustificazione del relativismo, mentre la vera flessibilità non è relativista o scettica.
Senza dubbio, la flessibilità non ha saputo trovare per molto tempo un’elaborazione che la preservasse dagli equivoci, in cui la maggior parte dei suoi fautori peraltro si riconosceva. Così ha prevalso un’alternativa rigida tra la rigidità e la “disponibilità al contesto”: potremmo usare quest’espressione per indicare ciò che è stato chiamato relativismo, nelle sue innumerevoli varianti (l’ultima è l’ideologia postmoderna). Troviamo però in Freud le indicazioni per una teoria non banalmente o mollemente relativistica della flessibilità.
La prima riguarda la visione generale della condizione umana: se ci limitassimo ad asserire l’enunciato “gli uomini sono esseri flessibili”, rischieremmo di riportare la flessibilità a uno statuto proprietario. Ma la flessibilità non è una proprietà (una Eigenschaft): questa è piuttosto la concezione relativista, subordinata alla concezione proprietaria degli enti. Si dovrà invece attribuire a Freud una visione conflittuale, secondo cui gli uomini sono definiti dal conflitto tra il rigido e il flessibile.
Inoltre, troviamo in Freud una distinzione che concerne il grado – benché non sia plausibile immaginare valutazioni metriche, ma soltanto stime relative: le pulsioni sessuali sono più plastiche di quelle autoconservative (o pulsioni dell’Io). Inizialmente, le pulsioni sessuali si appoggiano a quelle autoconservative, poi si svincolano da esse e iniziano a esprimersi in una molteplicità di vie, con forme anche bizzarre e sconcertanti. Vorrei conferire il massimo risalto alla nozione di Anlehnung: chiamerò principio di appoggio la possibilità che il flessibile si emancipi dal rigido, senza rinunciare a includerlo. Tale principio sembra promettere agli esseri umani una libertà illimitata: non è così, perché la rigidità – Freud l’ha indicato con la nozione di Todestrieb, pulsione di morte – restringe la nostra esistenza anche quando ci offre l’illusione di espanderla.
Plasticità e pudore