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Il pudore come fattore politico

Num°05 SHAME
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L’uomo è i suoi legami: legami con gli altri uomini, con la società nel suo complesso, con il mondo. La natura differente di questi legami rispetto a quelli intrattenuti dagli animali sembra aver inaugurato l’avventura dell’umano. Un simile approccio di discorso può forse oggi essere più facilitante, nel questionare sulla natura dell’umano, che un astratto interrogare su delle identità: “chi è l’uomo?” oppure “che cos’è la società?” o anche “chi è Dio?”.

Un tale auspicio di metodo è custodito nel testo di Vico:

«Quindi, tra forti freni di spaventosa superstizione e pugnentissimi stimoli di libidine bestiale (i quali entrambi in tali uomini dovettero essere violentissimi), perché sentivano l’aspetto del cielo esser loro terribile e perciò impedir loro l’uso della venere, essi l’impeto del moto corporeo della libidine dovettero tener in conato; e sì, incominciando ad usare l’umana libertà (ch’è di tenere in freno i moti della concupiscenza e dar loro altra direzione, che, non venendo dal corpo, da cui vien la concupiscenza, dev’esser de la mente, e quindi proprio dell’uomo), divertirono in ciò: ch’afferrate le donne a forza, naturalmente ritrose e schive, le strascinarono dentro le loro grotte e, per usarvi, le vi tennero ferme dentro in perpetua compagnia di lor vita, e sì, co’primi umani concubiti, cioè pudichi e religiosi, diedero principio a’matrimoni, per gli quali con certe mogli fecero certi figliuoli e ne divennero certi padri; e sì fondarono le famiglie, che governavano con famigliari imperi ciclopici sopra i loro figliuoli e le loro mogli, propri di sì fiere ed orgogliose nature acciocché poi, nel surgere delle città, si truovassero disposti gli uomini a temer gli imperi civili».

La questione del legame, cruciale per il chiarimento della nozione di “umano”, è perciò, secondo Vico, la questione del “che cosa tiene insieme”. Che cosa tiene insieme l’animale divenuto uomo? Tale “che cosa” è variamente e storicamente determinato da Vico come mito, come potenza divina e celeste, come questione dell’eroe fondatore eccetera. Si tratta comunque sempre di un principio unificante che fa tutt’uno con il propendere e con l’essere trasformato della bestia nell’ordine dell’umano e/o della cultura.

I primi pensatori greci hanno pensato tale principio unificante nella forma della parola: nella parola, nel logos, l’ordine del mondo si rivela imparentato con l’ordine della città. Il nomos che tiene insieme gli uomini divenuti cittadini, soggetti che cessano di sbranarsi a vicenda in quanto riconoscono una legge che appunto li unisce, funziona come tale proprio in quanto parola, in quanto discorso. È nel discorso che gli animali umani possono identificare se stessi in rapporto agli altri, all’altro. In altri termini la parola, il discorso, è quella realtà che è generata dall’alterità. La parola infatti è un enunciato detto da qualcuno a qualcuno: strutturalmente implica un significato, un far segno, che costituisce, in qualche modo, un nuovo ordine del mondo. Questo discorso, dispiegato in Platone, è entrato in circolo nella cultura dell’Occidente costituendo uno dei massimi fattori della sua costituzione.

Il pudore come fattore politico

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