
Nelle considerazioni che seguono cerco di distinguere nettamente il pudore dalla vergogna. Differentemente dalla vergogna, il pudore ha per correlato intenzionale qualcosa di positivo. Il pudore si potrebbe anzi definire come la vergogna del positivo, dove resta da chiarire perché mai ci si dovrebbe vergognare del positivo. Un’ipotesi potrebbe essere che c’è pudore, perché c’è del positivo in eccesso, del positivo che non si sa dove mettere. Il pudore avrebbe anche che fare col senso del tempo, perché il tempo è il modo della dislocazione, e dunque della regolazione, di questo positivo in eccesso. Non sempre, però: il pudore è anzi di per sé il segno di una distribuzione non ancora avvenuta. Il tempo, come del resto lo spazio, mitiga il pudore, sottraendovi la punta più dolorosa. Nel pudore s’incontrano ordini esistenziali differenti, ciascuno dei quali va preferito, e che però sono incompatibili. Così, nel pudore verginale è l’infanzia a dovere essere protetta, e la vita adulta a dover essere scelta. L’incompatibilità d’infanzia e vita adulta genera il pudore, che si esprime anche attraverso una scelta di tempo (“non ora, più avanti, a suo tempo”). Questo prendere tempo, tipico del pudore, non è però l’essenza del pudore, ma la sua strategia (e sia pure, la sua strategia intrinseca) per uscire dall’imbarazzo, cioè per distribuire e per scaglionare quello che – nell’istante presente – non si riesce a conciliare. Il pudore è così il sentimento dell’inconciliabilità del positivo. Il tempo, è l’aiuto, che il pudore offre a se stesso. Il tempo fa distribuzione, il pudore fa aggiunta.
Se fosse vero che la nostra è un’epoca spudorata (ma è vero?), ciò avrebbe dunque che fare con il rifiuto della vergogna del positivo. Se qualcosa è bene, perché vergognarsene? Non ci si vergogna del male, figuriamoci del bene.
Alcuni versi di Friedrich Hölderlin ci aiutano a penetrare più a fondo nell’essenza del pudore:
Es hindert aber eine Schaam Ma un pudore mi impedisce
Mich dir zu vergleichen Di paragonare a te
Die weltlichen Männer Gli uomini del mondo
In questi versi, tratti dall’inno Der Einzige (L’Unico), il pudore appare come un impedimento. Più precisamente, il pudore impedisce un paragone che metta su uno stesso piano di uguaglianza due grandezze positive («te» – cioè Cristo – e «gli uomini del mondo» – cioè gli dèi e gli eroi dell’antica Grecia, oggetto di nostalgia per il poeta). Non è lecito mettere su di un piano di parità due positività, ciascuna delle quali non dovrebbe (secondo il desiderio del poeta) escludere l’altra, eppure la esclude.
Certamente, in Hölderlin il pudore è spinto fino all’estremo della follia, e questo proprio perché fallisce lo schema del tempo. L’inno è intitolato L’Unico, ma questo Unico sono almeno due. Cristo è preferito dal poeta agli dèi della Grecia, che però sono preferiti a loro volta. Questo dramma della preferenza avrebbe potuto non verificarsi, pensa il poeta, se solo Cristo si fosse manifestato per tempo, Greco lui stesso, eterno contemporaneo degli eterni contemporanei. Ma è arrivato (o si è manifestato) tardi, quando ormai il patto di fedeltà con Dioniso e gli altri era già siglato, e questo ritardo adesso produce impedimento, cioè distrugge la mente.
Il pudore fallito?