
È assai diffusa oggi la percezione di vivere in un’epoca di sessualizzazione della cultura, in cui il tema del sesso acquista sempre maggior visibilità e legittimazione (Attwood 2009). Non manca chi interpreta tale tendenza in termini positivi e liberanti, come un affrancamento dai tabù del passato o come un modo più autentico di vivere una dimensione centrale dell’esistenza. Tuttavia sembra prevalere nell’opinione pubblica – e nel linguaggio mediatico – l’idea di essere ormai in una società spudorata, priva di freni e di vergogna, sempre più improntata ad un esibizionismo e voyeurismo che veicolano continui richiami di tipo sessuale. Si alimenta così quel “panico morale” che si manifesta in particolare intorno al modo disinvolto in cui le giovani generazioni (soprattutto le adolescenti di oggi) gestiscono il proprio corpo e la propria sessualità.
Nel 2007 l’opinione pubblica italiana viene scossa dall’uscita del libro Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano principessa. Storie di bulli, lolite e altri bimbi, in cui una giornalista del Messaggero documenta la storia di 5 preadolescenti di età compresa tra gli 11 e i 14 anni, esplorando i loro racconti in quello spazio virtuale che sono i blog.
Tra il 2009 e il 2010 fa discutere la scelta di alcuni dirigenti scolastici di approvare un regolamento interno sul tipo di abbigliamento da tenere a scuola, vietando ai propri studenti i pantaloni a vita bassa, minigonne esageratamente corte e canotte da mare.
Nell’agosto 2009 una notizia che rimbalza sui quotidiani online e gratuiti rende l’estate ancor più bollente: una ragazza che festeggia il suo diciottesimo compleanno in discoteca prima si ubriaca e poi, fuori controllo, pratica una fellatio a 18 ragazzi presenti, finendo la serata in ospedale per una lavanda gastrica. I diversi siti freepress collocano l’evento in luoghi diversi (San Remo, San Marino, Rimini etc.), segno forse di una vicenda non così accertata, ma di sicuro effetto mediatico.
E ormai non si contano i casi segnalati di ragazzine adolescenti che, in cambio di una ricarica del cellulare, offrono proprie foto osé.
Non sembrano da meno le donne più adulte, se si assume come indicatore il proliferare di corsi di pole-dancing e di striptease rivolti ad un pubblico femminile che voglia esplorare e sviluppare il proprio potenziale seduttivo.
Ancora, nella cultura mediatica in cui siamo immersi si registra un utilizzo sempre più massiccio ed esplicito di immagini e cornici a carattere sessuale per rappresentare ambiti della vita sociale e della sfera pubblica. Si pensi, ad esempio, ad alcune pubblicità che hanno fatto scalpore, tra cui quelle di marchi come Calvin Klein e Dolce e Gabbana, rappresentanti scene che rimandano ad una violenza sessuale.
Oltre il senso comune del pudore?