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Antinomie del pudore: Forme della comunicazione e forme del rapporto sociale

Num°05 SHAME
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Il sentimento del pudore è un’esperienza psichica che può essere definita accuratamente solo attraverso il riferimento ad una pluralità molto complessa di dimensioni. Sono infatti coinvolti: il conoscere (le informazioni che vengono fornite e la stessa immagine percettiva che viene data della propria persona), l’agire (le implicazioni che i soggetti possono derivare dal possesso di questa conoscenza), l’emozione (ciò che si prova nell’accorgersi di come la rete di elementi che così si forma può combinarsi), l’identità sociale e il senso di adeguatezza morale e in genere di adeguatezza al ruolo e alle attese degli altri. Chi prova pudore, si sente giudicato o osservato, rispetto a dei parametri che accetta e fa propri (norme morali, attese circa le sue capacità, etc.) e avverte (o teme che possa venire ad esserci) una distanza tra ciò che è e ciò che (rispetto a questi parametri) dovrebbe essere. Soffermandoci qui sul rapporto tra dimensione sociale e dimensione conoscitiva, possiamo valutare brevemente la complessità della questione ricorrendo all’opera di Euripide, che nell’Ippolito affronta proprio il tema dell’aidós, descrivendo una situazione in cui il protagonista, per non venire meno al giuramento dato, accetta di essere considerato colpevole di un atto che non ha commesso. La scelta che questo personaggio deve fare è se esporsi alle accuse e al discredito senza potersi difendere, pur di agire in coerenza con un obbligo morale, oppure scagionarsi, ma proprio per questo rinunciare al proprio modello di moralità. Ippolito non cede né alla paura né alla pressione sociale, mostrando di far prevalere quella che (con Ruth Benedict, che viene ripresa da Dodds) possiamo definire come un’idea di “colpa” piuttosto che di “vergogna”: non è il giudizio degli altri, ma il significato oggettivo dell’azione che orienta l’individuo nella sua condotta, avvicinandolo così ad un modello di morale non eteronoma. La situazione descritta da Euripide si presta a due osservazioni che sono in realtà complementari, anche se sembrano portare in direzioni diverse. 1) In un momento storico in cui la società ateniese era in una fase di rapide trasformazioni, il modello morale che nell’opera viene proposto e idealizzato è basato di fatto su quello che psicologicamente è un meccanismo di forte internalizzazione degli imperativi morali, come a controbilanciare le tendenze centrifughe che l’evoluzione sociale stava innescando. 2) Al tempo stesso, sono proprio tali meccanismi di introiezione che rendono l’azione dell’individuo meno controllabile e decodificabile dall’esterno: in altre parole, possono crearsi forti tensioni tra ciò che la società chiede che effettivamente avvenga (ad esempio rispettare i giuramenti) e ciò che poi la società è in grado di verificare che sia avvenuto (riconoscendo ad Ippolito che si è comportato virtuosamente, e che proprio per questo ha rinunciato alla possibilità di vedere riconosciuto il proprio merito).

Questo esempio letterario ci porta a riflettere sulle contraddizioni che l’agire morale può trovarsi a dover affrontare (contraddizioni simili a quelle analizzate da Bateson e dalla Scuola di Palo Altonella forma di “prescrizioni paradossali”): per essere coerenti con degli imperativi morali, si può dover scegliere di apparire delle persone immorali. Il sentimento di pudore, se inteso come bisogno di essere in grado di corrispondere al giudizio degli altri, può divenire qualcosa che spinge non ad una maggiore moralità nei comportamenti, ma proprio ad una negazione di quelli che sono i principi di fondo soggiacenti al modello morale che lo stesso gruppo sociale contemporaneamente approva.

Antinomie del pudore: Forme della comunicazione e forme del rapporto sociale

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