
Senatore Marcenaro,
La ringraziamo molto per avere accettato di rispondere alle nostre domande. La ragione per cui Le abbiamo chiesto di contribuire con un intervento al numero dedicato al concetto di Saturazione è legata al Suo impegno politico sulla questione delle carceri, come Senatore della Repubblica e come Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani.
D. Come definirebbe il concetto di saturazione in generale? Quali Le paiono essere le sue implicazioni?
R. Mi limito strettamente al campo dei dritti umani. È un limite che deve essere riconosciuto e essere considerato insuperabile anche per il peggiore degli assassini. Se non si accetta l’esistenza di questo limite e il suo carattere assoluto è l’intero edificio dei diritti umani a trovarsi senza fondamenta. Questo limite è tracciato dalla legge: quella interna radicata nella Costituzione della Repubblica e quella internazionale sancita nelle Dichiarazioni, nei Trattati, nelle Convenzioni che l’Italia ha liberamente sottoscritto e ratificato. E a presidio di questo limite ci sono istituzioni giudiziarie e politiche, Corti e Istituzioni, interne e internazionali.
Per uno Stato superare questo limite vuol dire semplicemente violare la legalità.
D. Qual è oggi la situazione delle carceri italiane? Perché ci sono tanti suicidi in carcere?
R. Questo limite nelle carceri italiane è da tempo nettamente superato. Per questo nel Rapporto conclusivo dell’Indagine conoscitiva sullo stato dei diritti umani nelle carceri e negli altri luoghi di privazione della libertà, la Commissione Diritti Umani del senato ha esplicitamente parlato di violazione della legge da parte dello Stato Italiano.
Che cosa spinga una persona – e in particolare in questo caso una persona detenuta – al suicidio è un mistero davanti al quale mi fermo. Ma non vi è dubbio che la quantità di suicidi è un indice terribile di una situazione di degrado, o più precisamente di una situazione di abbandono. La nostra Costituzione e il diritto internazionale affermano che lo Stato deve prendersi cura del detenuto che è affidato alla sua responsabilità, che l’espiazione della colpa attraverso la pena deve nello stesso tempo riaccompagnare la persona alla legalità, alla responsabilità, alla libertà. I suicidi sono invece altrettante drammatiche prove dei nostri fallimenti in questa direzione.
D. Di che cosa hanno più bisogno i detenuti?
I detenuti hanno semplicemente bisogno di tutte le cose di cui ho bisogno io, avete bisogno voi, ha bisogno qualsiasi essere umano. Niente di più, niente di meno. Hanno bisogno in primo luogo di sentire che esiste una fiducia in loro, nella loro possibilità di cambiare, di riuscire dove spesso fino ad oggi hanno fallito. Hanno bisogno di questa fiducia naturalmente in primo luogo dalla cerchia dei loro affetti e della loro famiglia, ma anche da parte delle istituzioni e della società. Hanno bisogno di sapere che c’è chi investe su di loro. E che sia nella decisione del tipo di pena da infliggere che poi nella sua concreta applicazione e gestione loro sono tenuti in conto come soggetti. Il sovraffollamento, il degrado fisico di molte carceri, la mancanza di risorse per l’insieme delle attività che fanno della pena qualcosa di diverso dalla pura e semplice reclusione, smentiscono radicalmente questo impegno e contribuiscono a determinare tra i detenuti un crollo della fiducia tanto in se stessi quanto nelle istituzioni e nella società.
D. Che cosa cambierebbe del sistema penitenziario italiano? A quali altri modelli ritiene che bisognerebbe eventualmente ispirarsi?
R. Per affrontare una situazione così grave è necessario in primo luogo distinguere il concetto di pena da quello di carcere. Si dice, si chiede certezza della pena: ma in realtà si intende certezza del carcere. Questo prevale nella quasi totalità dell’opinione pubblica. Negli anni alle nostre spalle molte leggi hanno alimentato questa convinzione: in carcere i tossicodipendenti, in carcere gli immigrati irregolari, cancellazione dei benefici di legge e della possibilità di pene alternative per i recidivi, carcere per gli imputati in attesa di processo. E si potrebbe continuare. Semplicemente bisogna cambiare strada, rivedere le leggi che ci hanno portato a questo punto, sostituire il carcere con altre forme di pena ogni volta possibile. Non aspettare che sia il giudice di sorveglianza a stabilirlo dopo che una parte della pena è stata scontata, ma affidare questa decisione già al giudice di merito che ha tutti gli elementi per valutare e decidere quando pronuncia la sentenza. Nel Rapporto della Commissione Diritti Umani del Senato abbiamo parlato di “carcere minimo”, cioè di un ricorso al carcere come decisione di ultima istanza, da assumere solo quando non esista altra possibilità. Nel sistema penitenziario italiano cambierebbe semplicemente tutto. E quando mi si chiede a quali modelli ispirarsi penso alla lezione di civiltà che la Norvegia ha dato al mondo qualche mese fa reagendo con quella forza, con quella dignità, con quella compostezza, con quella moderazione ad una strage di decine e decine di ragazzi.
D. Quali margini di azione rimangono (se ne rimangono) per le politiche, una volta che una situazione sia definita come satura? Quali strategie hanno senso nei confronti delle situazioni di saturazione?
R. Penso che in questo quadro e nel contesto di un impegno politico nuovo un provvedimento di clemenza costituirebbe una misura importante. Sarebbe un provvedimento che potrebbe contemporaneamente avere il significato di riparare un’ingiustizia della quale lo Stato è responsabile e di inaugurare una fase nuova.
Carceri e saturazione. Intervista con Pietro Marcenaro