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Città sature

Num°06 SATURATION
metrogramma

Il concetto di Saturazione, considerato con lo sguardo di chi gestisce, progetta o studia la città, richiama in prima battuta la forzatura estrema di un altro concetto: Densità. Un’area è satura quando i volumi in essa costruiti sfruttano al massimo gli indici di densità ammessi. Questa forzatura conosce le declinazioni più diverse lungo la storia, oltre che attraverso i diversi panorami urbani. Alcuni luoghi, si sa, calamitano il massimo numero consentito di metri cubi in virtù di proprie caratteristiche uniche: centri storici, quartieri degli affari, vie commerciali, affacci panoramici.

Possono invece apparire più strane altre dinamiche di saturazione: ad esempio, perché spesso all’entrata di una qualsiasi cittadina italiana è lì a darci il benvenuto una palazzina anni ’60, dall’aria popolare, solissima, di statura sempre troppo alta? Con molte probabilità è una delle figlie della “legge ponte” applicata in fretta e furia da tante città italiane per dotarsi di edilizia residenziale pubblica: le cosiddette 167, zone ad alta densità abitativa che ancora oggi in molti casi si chiamano con un numero, visto che non si ebbe nemmeno il tempo di trovar loro un nome. Urbanisti e architetti attivi in quegli anni raccontano di una forsennata produzione di progetti, non un minuto da perdere con le caratteristiche del contesto, ma estrema attenzione a sfruttare al massimo gli indici di densità ammessi. Fu saturazione, sì, ma almeno nel nome del diritto alla casa.

A partire dalla seconda metà del secolo scorso molte sono le questioni e le posizioni che hanno caratterizzato il dibattito sulle quantità di un’urbanistica di qualità. Orientarsi nella letteratura italiana che ne tratta, peraltro, non è semplice, perché nella maggior parte dei casi si tratta di ricostruzioni tanto appassionanti quanto ideologiche (Salzano 2007). Una battuta colse nel segno il cuore della querelle. A chi s’indignava e chiedeva se indici e standard urbanistici non fossero strumenti troppo poveri per far fronte alla complessità della crescita, si dice che Giovanni Astengo rispondesse che erano certo il minimo ma rappresentavano almeno un minimo di civiltà, che altrimenti non sarebbe stato garantito (Falco 1977).

Anche a uno sguardo più generale e internazionale non può sfuggire che diverse opinioni e teorie hanno comunque finito col convergere a favore della città compatta. Da più parti e con insistenza crescente si auspica di andare verso la saturazione del suolo già costruito. Nel Manifesto per una nuova urbanità l’Europa ci scrive che “dobbiamo ripensare le nostre città intorno a forme urbane dense”. I movimenti per la sostenibilità urbana, pur con orientamenti differenti, ad esempio più attenti al risparmio energetico da un lato o all’impegno sociale dall’altro lato, si schierano insieme contro la città diffusa.

Città sature

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