
1. Il pensiero del Laozi
Questo saggio affronta il tema dello svuotamento e del riempimento nel Daodejing (道德經) o Laozi (老子), testo di enorme importanza nella cultura cinese e famoso anche in Occidente anche per avere attirato l’attenzione di grandi pensatori, tra cui Martin Heidegger.
Sono essenziali alcuni chiarimenti preliminari sul tema, per cogliere appieno le implicazioni di termini come “svuotare” e “riempire”. Accostarsi a un testo come il Laozi risalente alla Cina antica richiede di rivedere alcune precomprensioni riguardanti il nostro modo di concepire la filosofia. Prima dell’avvento del buddhismo nel I secolo d.C., e per molti versi anche successivamente, il pensiero filosofico in Cina non si struttura come una disciplina a sé stante, ma le varie declinazioni di quelle che si possono chiamare le “pratiche definitorie” (come l’etica, le teorie politiche, la strategia militare, i discorsi sul cosmo, la storia), le “pratiche corporee” (per esempio, i riti civili o religiosi, le arti marziali, le pratiche ascetiche e di longevità) e le “pratiche artistiche” (la poesia, la calligrafia, la pittura, la musica) non sono nettamente distinte, ma si intersecano e si modificano fra loro in modo organico. Anche un testo ricco di riflessioni filosofiche è ben lontano dall’essere esclusivamente speculativo, ma è percorso da una pluralità di interessi che noi oggi distingueremmo in modo più netto. Sarebbe allora fuorviante considerare il Laozi come un puro trattato di filosofia, sebbene in questo testo la riflessione teorica sia molto importante. In realtà, nella Cina antica, non esistono discipline puramente teoriche, senza riferimenti alla pratica e tali da essere indipendenti da altre discipline. Tutte queste pratiche gravitano piuttosto attorno ad alcuni temi di fondo, che di solito interessano la conduzione dello stato (pensiero politico), del sé personale (etica o in generale pratiche di perfezionamento), del rapporto con il cosmo e della relazione complessiva fra questi tre aspetti. Il Laozi non fa eccezione: la lettura “ontologica” è più tarda e risale all’opera di Wang Bi (王弼, 226-249), mentre è la lettura politica quella che forse più si avvicina allo spirito originario del testo, che presumibilmente era un manuale di buongoverno.
Si è deciso di evitare nel titolo i termini “pieno” e “vuoto”, che, pur essendo connessi al tema, rischiavano di dare adito a ipostasi metafisiche (l’Essere o il Nulla, per esempio), laddove è nettamente più significativo l’aspetto processuale e operativo, sottolineato dalla coppia di verbi “svuotare e riempire”. In realtà, nel cinese classico i lemmi non hanno di per sé una funzione precisa, che viene decisa dalla loro posizione nella frase o dall’aggiunta di specifici marcatori grammaticali. In questo modo, i termini assumono di volta in volta ruoli grammaticali differenti. Così per esempio nel più famoso versetto del Laozi: «La Via che come tale può esser presa, Via eterna non è (dao ke dao ye, fei heng dao 道可道也, 非恆道)» (Laozi 1, 1, pp. 90-91), il carattere dao (道) nel primo caso ha valore sostantivale (la via), nel secondo è un verbo (“essere-via”, ma anche “esprimere a parole” e “tracciare o prendere un percorso”).
Nello specifico contesto del Laozi, come in molti altri casi del pensiero cinese antico, coppie concettuali come svuotare e riempire vanno intese più come movimenti e processi che come essenze, sostanze o attributi. Ciò denota una forte attenzione al costante mutamento del mondo, che difficilmente può cogliere un pensiero che isoli gli oggetti dal continuum della realtà e ne definisca proprietà e relazioni in forma statica. Il mutamento costante influenza così la stessa definizione dei termini e la loro interrelazione. Così, “svuotare/riempire” nel Laozi sono strettamente correlati, e non solo da un punto di vista logico. Il pensiero cinese e daoista in particolare presuppone sempre la correlazione fra opposti e si sviluppa attraverso catene correlative. Invece, il tema della presenza/assenza degli opposti non è rilevante quanto in un pensiero basato sulle contraddizioni, che invece tendono ad escludere tali relazioni. Nella contraddizione, la presenza di un opposto implica (et tertium non datur) l’assenza totale dell’altro opposto in riferimento a un medesimo soggetto, sotto un medesimo rispetto ed entro un’unità di tempo. In Cina, prendere in considerazione una sola categoria e non il suo opposto è ritenuto riduttivo e parziale, se non decisamente fallace. Se gli opposti sono sempre parte di catene correlative, non si dà mai il caso in cui un opposto sia del tutto assente. L’implicazione è sempre presupposta. Il culmine dell’uno sarà così il principio dell’altro. Oppure, il punto di massima forza dell’uno coinciderà con il punto di massima debolezza dell’altro. Questo schema logico abbina la correlazione a una concezione ciclica di alternanza degli opposti che prevede che il forte, raggiunto il suo massimo, tenderà a diminuire la sua forza e il debole inevitabilmente si rafforzerà e questo ciclo continuerà all’infinito. Emerge così la sensazione di una sorta di equilibrio universale.
Nel pensiero cinese, il problema non è mai costituito dall’Essere, o dal Nulla, dall’esistenza o non-esistenza delle cose o dall’ordine in cui esse “sono”. Piuttosto, il punto focale è la loro modalità di apparire e mutare incessantemente. Così, il dao o “via”, che è parola comune a quasi tutte le correnti del pensiero cinese antico, è il principio immanente di tale cambiamento. Ed è tale mutamento che richiede la massima attenzione del saggio, dato che a seconda delle sue condizioni l’azione sarà coronata dal successo o destinata al fallimento. Oggetto di discussione non è dunque l’Essere in quanto tale (“che le cose siano”) – e ancor meno il nulla totale che non è neppure un oggetto – ma la modalità di mutamento dei fenomeni (“come le cose vanno cambiando”). Le distinzioni del mondo catturano la massima attenzione del pensiero: non sono “meri accidenti” ma tutto ciò che c’è da sapere sul mondo.
“Vuota è la Via”. Svuotare e riempire nel Daodejing