
GRATI ALL’ECONOMIA
EDITORIALE
L’economia, come processo reale, è una tra le forme più significative di mondanizzazione dell’uomo. Avere un mondo, significa sempre anche lavorare. Da ciò deriva che l’atteggiamento verso l’economia non è mai scindibile dall’atteggiamento verso la mondanizzazione in generale. Come c’è una Weltverneinung, una negazione del mondo, così c’è una negazione delle forme economiche che, di volta in volta, la mondanizzazione può assumere.
Il discorso è scabroso, perché non è mai così chiaro fino a che punto la difesa del mondo in sé si estenda (il)legittimamente alla difesa di una forma specifica di mondo, e fino a che punto la critica di una forma specifica di mondo si estenda (il)legittimamente alla critica del mondo in generale.
In una certa interpretazione, di matrice cristiana, del processo di mondanizzazione, si potrebbe dire che, pro statu isto – vale a dire per il momento, e non per un momento dentro la storia, ma per un momento che dura quanto tutta la storia –, l’umanità, segnata da una tara originale, non riesce a dar luogo a forme di mondanizzazione prive di contraddizioni. La povertà, e le altre contraddizioni dei sistemi economici fino ad ora conosciuti, vengono così storicizzate, vale a dire naturalizzate, con l’importante precisazione che non della natura in sé si tratta, ma della natura lapsa, della natura caduta. Questa visione si presta a sua volta a interpretazioni anche opposte: da un lato è ottimistica, perché pensa la negatività come fenomeno transitorio, dall’altro è pessimistica, perché questo transito tende a coincidere con la stessa avventura umana sulla terra; da un lato finisce con il giustificare ideologicamente le forme attuali di sfruttamento (perché non può esistere umanità storica libera dallo sfruttamento), dall’altro incita e spinge al cambiamento (perché l’umanità storica è solo una forma distorta dell’umanità).
Fenomeni come la “crisi” economica ridestano l’attenzione generale sulle aporie della Verweltlichung, cioè a dire della mondanizzazione, alla stregua di ciò che per Heidegger fa l’angoscia, come operatore della possibilità e impossibilità.
D’improvviso scopriamo che il mondo ospita aggiunte sgradevoli (come i derivati o i mutui subprime), e – come c’invita a fare Platone – battiamo tutto intorno per eliminare le cose aggiunte (e riportare la finanza in asse con l’economia reale); altre volte, come ci consiglia di fare Plotino, prendiamo una via più radicale, seguendo il motto “elimina tutto”: dunque non solo i mutui subprime, ma il capitalismo in generale, e – perché no? – l’economia stessa come forma della mondanizzazione, il mondo in generale.
Tutti, più o meno, cerchiamo un equilibrio sostenibile, operativamente ed eticamente, tra questi due estremi: una pura e semplice ratifica della forma esistente e una mera negazione di essa, negazione tale da non fare segno ad altre forme concretamente possibili, ma da stingere nell’informe, nell’assenza generale di forma.
Tra questo mondo, e nessun mondo, cerchiamo – spinti dalla necessità – le correzioni indispensabili per stare al mondo altrimenti (anche al mondo dell’economia). Nel fare ciò, sospendiamo il giudizio. Agiamo come se un mondo libero dallo sfruttamento (in tutto o in parte) fosse possibile, ben sapendo che la configurazione generale del nostro essere al mondo sfugge al nostro potere.
Cerchiamo, in una parola, forme di attraversamento delle contraddizioni. Non potendo rimuoverle, appunto le attraversiamo, alla ricerca di forme migliori, o anche solo di un miglioramento della forma esistente. Cosa che, per alcuni, non è solo illusoria, ma costituisce addirittura la prima menzogna, la fonte di ogni illusione.
L’attraversamento delle contraddizioni libera, tra l’altro, energie di immaginazione sociale. La bolla economica è stata la forma deiettiva dell’immaginazione, a cui si risponde non con nessuna immaginazione, ma con buone immaginazioni. Fenomeni nuovi, come il co-housing, sembrano indicare che le “unioni”, a condizioni che bisognerà precisare, sono amplificatori di spazio sul posto, e costituiscono preziose risorse economiche, in grado, attraverso il cambiamento delle relazioni sociali, di creare uno spazio aggiunto, che consenta di ovviare alla scarsità di risorse. I prossimi anni potrebbero anzi vedere la fioritura di economie dell’unione e di politiche dell’unione. A certe condizioni le unioni sono dignificanti (come a certe altre invece umilianti), e il tutto è davvero maggiore della somma delle parti. L’esempio dell’unione europea è ormai fin troppo scontato, talché bisognerebbe incominciare a guardare – come possibile traguardo del secolo a venire – a un’unione più vasta, euro-mediterranea, che unifichi i popoli che sulle due sponde del Mediterraneo si sono storicamente riconosciuti nelle differenti religioni del Libro.
È proprio dell’attività economica, del resto, produrre valore aggiunto. Se, nonostante tutto, siamo grati all’economia, è per questa sua capacità straordinaria di aggiungere, alla quale dobbiamo grandi conquiste dell’umanità. Il problema è che l’economia esternalizza l’aggiunta, cioè non riesce a produrla se non a scapito di qualcuno o qualcosa, mentre sempre più pressante giunge la richiesta di un’economia politica, cioè di un’internalizzazione dell’aggiunta, di una produzione di aggiunte a un grado zero di temperatura storica, come avrebbe detto Lévi-Strauss. Di un ampliamento di spazio sul posto, senza danno per terzi.
Se – come osserviamo – sempre più spesso l’economia prevarica sulla politica, l’alternativa non sta semplicemente in un ristabilimento dei confini reciproci, ma in forme diverse, e questa volta virtuose, di contaminazione. L’economia deve farsi politica, la politica economia, non nel senso che i banchieri debbano governare gli Stati, ma nel senso che il capitalismo dovrebbe imboccare con decisione la propria fase sociale di sviluppo. Così come la seconda metà del Novecento è stata l’epoca della costruzione del welfare, grazie alla collaborazione tra economia e politica, così oggi le forme dell’attività economica dovrebbero assumere il momento politico democratico come costitutivo della propria ragion d’essere. L’economia non può essere un vincolo per la politica, se contemporaneamente la politica non lo è per l’economia. La sostenibilità politica, e più generalmente sociale, dovrebbe diventare il primo requisito di ogni attività economica, una sorta di tabù, così come la sostenibilità economica è ormai un tabù per la politica. Politica ed economia dovrebbero insomma tabuizzarsi a vicenda. Questo reciproco tabù rappresenterebbe per così dire un vincolo costituzionale condiviso, che consentirebbe alle “parti” della politica e dell’economia di affrontarsi in una dialettica aspra ma corretta, che affondi le proprie radici nel riconoscimento reciproco.
Gli articoli di questo fascicolo sono accomunati da questo lavoro di attraversamento, dallo sforzo di indicare alternative praticabili, dunque dalla mediazione tra un semplice No e un semplice Sì alle forme conosciute di mondanizzazione economica. Con accenti anche molto diversi tra loro – non tanto sulla diagnosi quanto sulla prognosi e sulla terapia – filosofi ed economisti lavorano intorno ai problemi sollevati dall’attuale congiuntura economica, cercando un’uscita. La quale, pur essendo problematica, è forse più vicina di quanto si potrebbe pensare. Non semplicemente nel senso di stare arrivando, come pure ci auguriamo, ma nel senso che l’instaurazione di un ordine nuovo è possibile, come avrebbe detto Walter Benjamin, non mutando il mondo con la violenza, ma aggiustandolo di pochissimo. Il più sta nell’individuare le forme concrete di questo “pochissimo”, il che – come sembra – non richiederà solo uno sforzo di perimetrazione della realtà, ma – anche – uno sforzo creativo. Lo scoppio della bolla speculativa ha infatti certamente mostrato l’impossibilità di moltiplicare dissennatamente i pani e i pesci, con una sorta di creatio ex nihilo della ricchezza. Ma ciò non toglie che abbiamo sempre e ancora bisogno di spazio aggiunto, sempre e ancora bisogno di moltiplicatori, dunque sempre e ancora bisogno di economia.
Enrico Guglielminetti
Numero 07 – Economia