RSS
 

Economia e relazioni: La difficile uscita dalla logica dell’homo oeconomicus

Num°07 ECONOMY
uscita

I discorsi sull’economia che monopolizzano il dibattito pubblico in questo contesto di “crisi” conclamata e durevole sembrano dare per scontati una serie di presupposti indiscutibili. L’economia ha proprie leggi che funzionano in modo necessario ed ogni intervento che provenga dall’“esterno” e che non voglia tenere in conto di queste leggi è votato al fallimento. Tra le idee indiscutibili che circolano nel dibattito pubblico, una delle più ricorrenti è quella secondo cui l’attore economico si comporta inesorabilmente come un massimizzatore di profitto, unicamente interessato al calcolo dell’utilità. Questo modello, conosciuto con l’etichetta di homo oeconomicus, descrive i soggetti della vita economica come individui ad un’unica dimensione: nella sfera della produzione e dello scambio, l’unico comportamento sensato, cioè razionale, è quello del calcolo utilitaristico. Ora è evidente che, nonostante la diffusione, questa immagine di attore economico risulta fortemente riduttiva fino a rappresentare un vero e proprio “mostro antropologico”, per dirla con Daniel Cohen. Gli stessi economisti neoclassici che avevano coniato la nozione erano consapevoli che si trattava di un’astrazione scientifica, ma questa consapevolezza non ha impedito che di essa siano state offerte versioni “caricaturali”, sull’onda del neoliberismo imperante che negli ultimi due decenni del secolo scorso ha accompagnato l’apparente trionfo del capitalismo globalizzato. Le ripetute difficoltà e le crisi dell’ultimo decennio hanno portato con sé una maggiore consapevolezza e l’esigenza di elaborare una concezione meno astratta. Gli studi sulla felicità, sul volontariato, sulla gratuità, o anche semplicemente sulle motivazioni intrinseche che fanno sì che si lavori non soltanto per denaro, hanno mostrato che l’homo oeconomicus non corrisponde al comportamento reale dei soggetti economici. Tuttavia l’ampio dibattito sulla crisi di questo modello non sembra ancora averne scalfito la pregnanza e la diffusione a livello di sensibilità generalizzata, per cui diventa importante capire le ragioni di tale successo e domandarsi fino a che punto queste critiche colgano realmente nel segno.

L’intento di queste pagine è di guidare il lettore in un breve viaggio nelle vicende dell’homo oeconomicus, per sondare alcuni contributi che si sono intrecciati nel processo di revisione dello stesso. Tuttavia il percorso avrà come compito anche di introdurre una tesi che vale la pena enunciare fin da subito. Per andare “oltre” l’homo oeconomicus non è sufficiente implementarne o riformarne il modello “standard”, mettendo l’accento su una serie di dimensioni cognitive o psicologiche intrinseche al comportamento razionale dell’attore economico che tale concezione non è stata in grado di integrare, ma occorre riformulare alla radice la visione antropologica che vi sta alle spalle. Tra le ragioni della persistenza dell’homo oeconomicus c’è infatti il mancato riconoscimento di un paradosso che si annida nella spiegazione del comportamento umano attraverso la meccanica degli interessi. In origine tale spiegazione nasceva infatti dall’istanza realistica di fare i conti con l’uomo concretamente esistente, evitando infingimenti e illusioni, mentre oggi è proprio questa stessa istanza realistica a motivarne la critica. Solo se si tiene conto di questa esigenza originaria e del suo fallimento si può comprendere la difficoltà a lasciarsi realmente alle spalle quel modello e la necessità di valorizzare programmi di ricerca che si impegnino in una più radicale revisione critica che tocchi i presupposti antropologici stessi della vita economica.

L’ultima parte dello studio non potrà fare molto di più che enunciare alcune piste di ricerca in tal senso, centrando la propria attenzione su due nuclei antropologicamente fecondi: il ritorno di interesse per la qualità delle relazioni come orizzonte primario dell’agire economico e la riabilitazione della dimensione del dono e della gratuità come elementi in grado di contestare il “privilegio paradigmatico” della massimizzazione del profitto.

1. Chi è l’homo oeconomicus?

Già Foucault nel corso al Collège de France (1978-1979) dal titolo La naissance de la biopolitique lamentava la mancanza di una storia della nozione di homo oeconomicus, tanto che, pur essendo un modello presente già da prima, è soltanto con gli economisti neoclassici, Léon Walras e in particolare Vilfredo Pareto, che di esso si dà un’esplicita teoria. In realtà, secondo lo stesso Foucault, è possibile farne risalire l’idea alla concezione sorta con l’empirismo inglese e con il pensiero di Locke, secondo cui il soggetto «non viene definito dalla sua libertà, o dall’opposizione tra anima e corpo, o dalla presenza di una fonte o di un nucleo di concupiscenza contrassegnato dalla caduta o dal peccato, bensì […] appare come soggetto di scelte individuali al tempo stesso irriducibili e non trasmissibili».

Economia e relazioni: La difficile uscita dalla logica dell’homo oeconomicus

scarica pdf
 

Tags: , , , , , , , , , , , , , , ,

Lascia un commento

You must be logged in to post a comment.

 
porno porno izle porno porno film izle