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Realtà e libertà

Num°08 REALITY
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La filosofia non ha quasi mai messo in dubbio l’esistenza di una realtà esterna alle nostre rappresentazioni. L’ha fatto forse solo con l’esse est percipi di Berkeley e con il dubbio iperbolico di Cartesio, che tuttavia è solo un esperimento mentale. Lo stesso scetticismo ha messo in dubbio solo la certezza della nostra conoscenza. E l’idealismo assoluto risolve la realtà soltanto nella ragione assoluta.

Non si può sospettare una deriva antirealistica quando ci si interroghi sul modo in cui le nostre rappresentazioni corrispondono alla realtà. È sufficiente riconoscere che esse si adattano più o meno all’esperienza e in questo adattamento sta il grado della loro maggiore o minore verità. Non si può invece pretendere una mistica coincidenza di rappresentazione e cosa, che solo per Dio è possibile, quella coincidenza di cui il termine ebraico dabar conserva traccia. Proprio perché siamo al di fuori di questa coincidenza mistica, vi è per noi il problema di inventare, correggere e affinare strumenti di conoscenza il più possibile adeguata all’esperienza. A ciò provvede la metodologia e la ricerca scientifica. Il differenziale tra rappresentazione e realtà esperita potrebbe indurre a definire la conoscenza (anche quella scientifica) come interpretazione, ma si tratterebbe di un uso improprio, perché l’interpretazione non concerne la rappresentazione e la conoscenza dei fatti, ma il loro senso.

Il vero problema filosofico è proprio quello del senso, è cioè il problema dell’origine, del fine e della relazione con l’uomo della realtà fattuale. Che il problema non lo si possa facilmente evadere sembra affermarlo lo stesso Wittgenstein, quando afferma: «Credere in Dio vuol dire vedere che i fatti del mondo non sono poi tutto»; «il senso della vita, cioè il senso del mondo, possiamo chiamarlo Dio». Da dove prendere le mosse per indagare questo senso? I luoghi delle esperienze di senso sono l’arte, l’etica e la religione. Si dirà che queste esperienze sono in ultima istanza riconducibili alla sfera delle emozioni e quindi della pura soggettività? Dire questo significa porre la questione del senso al di fuori della verità e abbandonarla alla pura irrazionalità. Un certo positivismo finisce per essere irrazionalismo.

I luoghi delle esperienze di senso che ho indicato hanno un tratto in comune, e cioè propongono uno sguardo altro sui fatti, uno sguardo che non si riduce alla mera rappresentazione. La religione li comprende a partire da un principio originario nel quale si dà un senso che abbraccia e salva la totalità. L’esperienza artistica introduce una forma che trasforma o informa (o anche deforma) i fatti. In queste esperienze si dà una differenza tra il modo in cui i fatti si presentano nell’esperienza e il modo in cui potrebbero essere. Questa differenza assume un carattere normativo nell’esperienza etica, che espressamente introduce una distinzione fra l’essere e il dover essere.

Realtà e libertà

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