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Realtà e povertà

Num°08 REALITY
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1. Come sia possibile la povertà

La povertà non sembra, a prima vista, un tema filosofico. Eppure – si potrebbe notare – fin dagli inizi la filosofia si è posta il problema di come sia possibile essere poveri. I concetti stessi di “essenza”, o di “idea” – tra i più influenti concetti filosofici – sono ricavati ex negativo: questo letto, in cui dormo, non è che un’immagine, un’ombra del letto vero, del letto in e per se stesso. L’essenza del letto non coincide col letto. Il letto effettivo, in cui realmente dormo, non è il letto reale. Il letto effettivo è dunque, in questo senso, un povero letto, un ens deminutum. La filosofia, come platonismo, degrada l’effettività (quella che siamo abituati a chiamare: realtà) a ombra dell’idea. Ciò che va spiegato è dunque proprio questo processo di diminuzione, e la filosofia – in quest’ottica – è un’unica grande meditazione su ricchezza e povertà.

Il mondo non è quello che dovrebbe o potrebbe essere. Ciò, che a prima vista è concreto, in realtà è astratto. Assunta nella sua semplice immediatezza, oppure come ombra dell’idea, la realtà non è razionale. Vi sono dunque due forme di realtà, con e senza virgolette: la “realtà” e la realtà. Su questo, certo non senza aporie e conflitti interni, ha per tempo insistito la filosofia, quasi che la “realtà” (quella che di solito chiamiamo realtà, senza virgolette), fosse, di per se stessa, fredda e senza luce. La “realtà” è povera, ciò che non potremmo dire, se non avessimo in mente l’immagine, tutt’altro che astratta, di una realtà soleggiata. Il filosofo è dunque – platonicamente – un homo politicus, che cerca di modificare le cose al fine di renderle (più) reali, di aumentare la provvista complessiva di realtà.

Il dislivello tra la “realtà” e la realtà è una différance. L’indistinguibilità al suono tra la “realtà” e la realtà definisce la filosofia come una lotta contro l’illusione, dal momento che è sempre possibile scambiare un falso X per un vero X.

Il concetto fa différance. Chiedere che cos’è X, significa criticare X come “realmente” si dà. La critica individua il mondo nel suo stato di povertà.

Com’è possibile essere poveri? Sembra dunque questa la domanda della filosofia. La “realtà” (la povertà) è una possibilità, non una necessità, per quanto si tratti di una possibilità così pervasiva da apparire come l’unica data, dunque come una necessità.

Nelle note che seguono propongo di definire la povertà una realtà senza aggiunta. Questa definizione segue logicamente da quella di realtà come ciò che richiede l’aggiunta. Se ciò che vi è, è l’aggiunta (la quale dunque non si aggiunge mai in un secondo momento), una realtà senza aggiunte (una realtà denudata), lungi dall’essere la base di ogni certezza, è essa stessa quello che va spiegato. Si delinea quindi un conflitto tra il sofista e il filosofo. Per il sofista, la povertà è un’interpretazione. È dal punto di vista soggettivo che la fame è terribile (l’uomo è misura di tutte le cose), ma non avrebbe senso affermare che la fame sia di per sé un fatto meno naturale della sazietà. Il filosofo, affermando il contrario, rivendica lo statuto oggettivo della povertà (e in generale del negativo). La povertà, è un fatto contro natura, e se la “natura” prevede la povertà, tanto peggio per la “natura”.

La domanda come sia possibile essere poveri si trasforma quindi nella domanda come sia possibile vivere senza aggiunte. Questa seconda domanda conduce a una terza: come sia possibile ripristinare le aggiunte perdute (versione dell’autenticità), oppure guadagnarne di nuove (versione della tecnica).

Realtà e povertà

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