
Com’è noto l’identità del razionale e del reale viene affermata da Hegel nella Prefazione alla Filosofia del diritto, in un contesto perciò dichiaratamente etico-politico, in cui quello che viene messo in discussione è l’idea che una dottrina dello Stato debba occuparsi di ciò che lo Stato dev’essere, invece di comprenderlo com’esso è. L’intento, contrariamente a quanto sostenuto da certa letteratura, non è quello di legittimare filosoficamente ogni ordinamento politico in quanto esistente, né tantomeno lo Stato prussiano nell’epoca della restaurazione post-napoleonica. Ciò di cui si occupa la Filosofia del diritto non è una specifica configurazione statale ma lo Stato moderno in quanto tale, lo Stato fondato sull’idea moderna di libertà. È di esso che viene proclamata la razionalità, in quanto solo in esso – secondo Hegel – il concetto moderno del diritto ha finalmente trovato la sua realizzazione e l’idea razionale di libertà non è rimasta più solo un’idea, un’aspirazione, un postulato, ma è diventata realtà, istituzioni sociali e politiche, storia.
È però altrettanto evidente in quella formula la ripresentazione della consueta polemica hegeliana nei confronti del dover essere kantiano e di una concezione della filosofia politica secondo cui libertà, razionalità e diritto dovrebbero essere affermati contro una realtà priva di libertà, di razionalità e di diritto. E tuttavia vedervi una presa di distanza verso ogni concezione normativa dell’etica e della politica sarebbe un errore. L’idea di Hegel è che la normatività vada rinvenuta proprio all’interno dell’esistente «poiché ciò che è, è la ragione». Insomma ciò che deve essere va individuato all’interno delle istituzioni sociali, giuridiche, politiche realmente esistenti. Esse racchiudono una normatività immanente che è compito della filosofia rivelare e comprendere. Per questo motivo la Filosofia del diritto non può essere compresa come una semplice descrizione dell’eticità esistente ma come una comprensione normativa del reale con l’intenzione esplicita di rinvenire all’interno dell’essere il dover essere, svelando il razionale nell’esistente e ritrovando dentro a ciò-che-è i criteri normativi di ciò-che-si-deve-fare.
Nonostante questa collocazione della tesi dell’identità di razionale e reale all’interno di un quadro etico-politico non la si può tuttavia comprendere adeguatamente se la si restringe dentro i confini della sfera pratica. Infatti, secondo Hegel, la razionalità è immanente nelle istituzioni politiche esistenti perché in generale la ragione è racchiusa all’interno della realtà, di ogni tipo di realtà. Insomma al di sotto di quella tesi c’è una concezione ontologica generale che considera la ragione non qualcosa di soggettivo, né la ritiene primariamente una proprietà del pensiero individuale ma vede in essa essenzialmente il carattere della totalità. Perciò il contesto all’interno del quale comprendere quella tesi è rappresentato da un’altra celebre affermazione hegeliana, quella relativa alla idealità del finito: «La proposizione che il finito è ideale costituisce l’idealismo. L’idealismo della filosofia consiste soltanto in questo, nel non riconoscere il finito come un vero essere». Qui Hegel non sta tanto negando la realtà del finito, quanto sostenendone l’idealità, vale a dire sta affermando che la sua vera realtà va ravvisata all’interno dell’Idea. Il finito, cioè la natura, il mondo, la storia, gli individui, la società, le istituzioni politiche, sono reali solo come momenti dell’Idea, cioè come articolazioni del movimento logico dell’Idea. Se noi pensiamo la verità profonda di tutte queste differenti realtà finite – questa la tesi di Hegel – la loro realtà determinata si risolve in altro, trapassa in altre realtà, mostrandosi incapace di mantenere se stessa. «Ogni finito ha questo di proprio, che sopprime se medesimo». È questo “altro” la vera realtà delle determinazioni finite, ma questo “altro” non è banalmente l’infinito, dato che pure l’infinito, essendo una determinazione come tutte le altre, è destinato a passare ad altro. Ciò in cui tali determinazioni si risolvono è invece un’altra determinazione, «un altro finito, il quale però è a sua volta il perire come passare in un altro finito, e così via, in certo modo all’infinito». Ciò che rimane, la verità di questo processo, è perciò solo il movimento logico delle differenti determinazioni, quello che Hegel chiama «il passare». La verità del reale è solo la processualità in cui si risolve ogni determinazione, ogni finito.
La razionalità del reale