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Reality show(s)?

Num°08 REALITY
RealitySHOW

1. Punti di partenza

Si può iniziare con alcune affermazioni (o ipotesi) che vorrei poi riprendere per arrivare, probabilmente, a conclusioni anche contraddittorie – e lasciare pertanto questioni ancora aperte.

1. La realtà, nell’epoca dei media, è un atto di scrittura. Non si tratta esattamente, però, della scrittura di un autore verso i suoi lettori ma, diciamo, di un’incisione quasi-anonima sul supporto visivo che si configura come una scrittura automatica pervenuta dall’etere, anche se inscritta sotto una testata giornalistica on line, con tanto di firma.

Si rende difficile distinguere tra realtà immediata e realtà mediata, tra esperienza sensoriale situata, diretta, e forme di rappresentazione, tra soggettività e intersoggettività. La scrittura, per parte sua, perde sia la sua corporeità, il suo carattere di “incisione” sia qualsiasi carattere di sacralità, di istituzionalità e, soprattutto nella Rete, produce la trasformazione di qualsiasi realtà in commento, prendendo i caratteri “analfabeti” dell’oralità di ritorno. Se la realtà è scrittura, la scrittura è diventata voce e, ancora, al leggere è andato sostituendosi il vedere.

Cercare nell’universo dello scrivere la risposta alla disgiunzione paradossale tra esperienza e media, significa riflettere sul fatto che l’atto di scrittura ha tradizionalmente in sé un aspetto ineliminabile di separatezza, isolamento che può sfociare nel solipsismo. Nei media e nella televisione, invece, dove si scrive lavorando soprattutto in team e/o considerando il proprio apporto all’interno della filiera industriale di produzione, l’aspetto del “genio solitario” non è presente tanto dal lato dell’autore quanto piuttosto da quello dello spettatore, il quale vuole appunto godersi lo status di lettore, smarcandosi dal mondo, come se fosse il solo sulla scena della ricezione.

2. La realtà è il risultato di un accordo, di un patto, è all’insegna di una pratica di negoziazione. L’avvento dei media come facilitatori e acceleratori dell’accesso alla realtà ha prodotto l’inclusione del feedback nel processo di emissione dei segnali. I media non seminano nel vuoto ma lavorano contando sulla risposta, progettando e influenzando le reazioni del destinatario. In quanto spettatori, tuttavia, non ci attendiamo, come fossimo governati rispetto a governanti, l’accordo, il risultato “legislativo”, perché la televisione e i media mettono in conto il disaccordo, anzi lo predispongono come arena vitale. I media hanno bisogno di una realtà instabile e dunque non funzionano come strumenti di comunicazione che supportano l’evidenza ma come sistemi nervosi impulsivi, i cui detentori ne alimentano e nello stesso tempo disciplinano il flusso.

Basta osservare gli studi televisivi dei talent show, dei reality show o dei talk show a contenuto politico per comprendere il ruolo più o meno attivo del pubblico in studio e, in particolare, il ruolo delle telecamere; queste si configurano come lo sguardo del telespettatore remoto e producono, nei presenti, stress psicologico e, al contrario, in chi si trova davanti allo schermo, sensazione di dominio della situazione. In tale quadro il ruolo del conduttore risulta come quello di chi orienta e modella l’accordo tra emissione e spettatore, selezionando gli elementi della realtà da rendere pertinenti nel flusso della trasmissione.

3. La televisione non assomiglia a niente ma vuole sostituirsi all’esistente interpretandolo. Interpretare, nel quadro del discorso televisivo (sullo schermo fisso o sui media mobili), significa sostanzialmente intrattenere, fondere – quando va bene – sensazioni e percezioni, elementi destrutturanti e processi intenzionali, tonalità dell’ambiente e percorsi espressivi razionali (cfr. Eugeni 2010, p.83).

Reality show(s)?

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