
Tra i disturbi mentali più inquietanti, il fenomeno della “de-realizzazione” è ben rilevante per la riflessione filosofica. Si può essere affetti da de-realizzazione sia episodicamente sia in modo continuativo ma in entrambi i casi vi è l’incapacità del soggetto di interagire con l’ambiente circostante (sia con gli oggetti fisici – le cose – sia con gli altri esseri viventi – persone o animali) secondo i modelli cognitivo-comportamentali usualmente condivisi dalla comunità di appartenenza. Si potrebbe allora dire che la de-realizzazione consiste in una disfunzione, più o meno intensa, di ciò che Wittgenstein indicava come il sistema normativo che sorregge le nostre pratiche linguistiche ed epistemiche: quel complesso di certezze condivise che egli rappresenta con le metafore dell’“alveo del fiume”, dell’“impalcatura”, per indicare la funzione portante che esse svolgono rispetto alle vicende dei nostri saperi. Così si può ipotizzare che è appunto questo il disturbo mentale paventato da un famoso passaggio di On Certainty in cui egli allude alla malattia filosofica:
«Siedo in giardino con un filosofo. Quello dice ripetute volte: “Io so che questo è un albero”, e così dicendo indica un albero nelle nostre vicinanze. Poi qualcuno arriva e sente queste parole, e io gli dico: “Quest’uomo non è pazzo: stiamo solo facendo filosofia”» (OC, § 467).
La sensazione di affannosa ricerca del consenso altrui circa l’asserzione di “sapere” cosa sia un certo oggetto della realtà, asserzione che a chiunque apparirebbe affatto scontata, è un elemento costitutivo della situazione descritta da queste parole di Wittgenstein, e non è eccessivo sostenere che la presa di distanza dall’ansia della certezza cui esse implicitamente rimandano è il Leitmotiv squisitamente etico del suo intero lavoro successivo al Tractatus Logico-philosophicus. Vi è un’assonanza speculare dell’atteggiamento di chi chiede continuamente conferme delle proprie asserzioni conoscitive sulla realtà con la posizione di chi ritiene necessario schierarsi a favore di un realismo che sappia finalmente liberarsi dai presunti intralci logico-semantici alle nostre più “naturali” e radicate certezze. Perciò vorrei proporre che la nozione di realtà è strettamente intrecciata alla concretezza delle nostre pratiche conoscitive e valoriali, alla loro complessità e al dinamismo della continua interferenza dei fattori logici e dei fattori empirici che le formano.
Un sano senso della realtà