
1. Alterazione dell’esperienza
Nel dibattito culturale sull’età globale, gli aspetti su cui maggiormente si insiste, sia negli studi accademici sia a livello divulgativo, riguardano la fluidificazione di molti tratti dell’esperienza personale individuale e la conseguente trasformazione dei legami sociali tradizionali. Z. Bauman, U. Beck, A. Appadurai, tra gli altri, hanno esposto delle mappature di quella che definiscono “seconda” o “tarda” modernità, i cui contorni risultano segnati dalla sostanziale perdita delle forme stabili di relazione tra gli individui. La liquefazione dei legami solidi e duraturi e le continue pretese di riscrittura della propria “biografia” comportano un reinvestimento emotivo nel campo del lavoro, nelle relazioni affettive e nelle istituzioni che regolano la vita associata dei nuovi cittadini globali. Questi elementi, che hanno cominciato a radicarsi nella cultura a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, hanno mutato a livello planetario la coscienza emotiva che gli esseri umani hanno nel proprio essere al mondo.
In particolare, sotto la spinta dei nuovi mezzi di comunicazione digitale e della circolazione delle informazioni in tempo reale, è andata progressivamente sgretolandosi un’idea forte di esperienza, uno dei cui principali aspetti consisteva nella relazione tra spazio e tempo avvertita soprattutto come misurazione dell’estensione territoriale in unità cronologiche. P. Virilio, a questo proposito, ha parlato di “catastrofe topologica”, nel senso di un generale sconvolgimento degli spazi di percezione, e di un passaggio, ritenuto epocale, dalla rappresentazione alla presentazione, in base al quale l’esperienza soggettiva subisce una radicale alterazione dovuta a una sempre minor capacità di elaborare attivamente – e quindi concettualmente – i dati percettivi, a causa di un’incontrollata proliferazione di questi stessi dati.
C’è d’altro canto un’ipoteca di sapore benjaminiano sull’età globale: le forme globalizzanti di riproducibilità tecnica, di diffusione di massa e di livellamento strumentale – soprattutto per noi oggi nell’economia e nella politica – comportano modificazioni costitutive della percezione che i soggetti hanno del proprio stare al mondo. Esplicitamente, infatti, Benjamin ha sostenuto che la perdita dell’unità spazio-temporale dei fenomeni – che egli, interessato alla questione dell’arte, ha compendiato sotto il termine “aura” – ha conseguenze «al di là dell’ambito artistico» e prelude addirittura a un «rinnovamento dell’umanità» che è strettamente legato ai fenomeni di massa.
Si può quindi ritenere con adeguata ragionevolezza che la globalizzazione metta in scena continue modificazioni dell’esperienza, all’insegna di un progetto – più o meno consapevole – di radicalizzazione del rapporto spazio/tempo. La tendenza a zero di questi due elementi produce una generale parcellizzazione dell’esperienza che, in circostanze estreme, può persino diventare puntiforme e, in modo paradossale, annullare le condizioni stesse dell’esperire.
La realtà mancata