
Se si prende in esame la più influente tematizzazione della forma partito del XX secolo, contenuta nello scritto di Lenin Che fare?, si scopre che – per Lenin – il partito funziona come l’intelletto agente di Aristotele.
Per Aristotele, l’intelletto giunge in noi dal di fuori:
«[…] Solo l’intelligenza (τὸν νοῦν μόνον) giunge dall’esterno (θύραθεν) e solo essa è divina, perché l’attività corporea (σωματικὴ ἐνέργεια) non ha nulla in comune con la sua attività».
L’intelligenza (l’anima) sta al corpo, metaforicamente, come il partito sta alla classe proletaria (per Lenin). O – diremmo forse noi oggi – come il partito sta agli elettori, al corpo sociale. Così come Aristotele sembra talora oscillare tra un’interpretazione “biologistica” dell’anima come forma del corpo e una di tipo platonico, come quella appunto attestata dal passo citato, così la storia del rapporto partito/classe nella tradizione comunista oscilla tra l’idea che il partito sia una semplice emanazione o emergenza della classe, nella quale emanazione la classe semplicemente si auto-organizza, e l’idea invece che il partito solo sia divino, e la classe senza il partito sia come un corpo senz’anima, informe e senza vita. Con tutte le possibili variazioni intermedie, tra le quali un’idea di tipo kantiano, secondo cui l’intelligenza che il partito rappresenterebbe sarebbe da intendersi piuttosto come un giudizio riflettente che come un giudizio determinante. Dunque né un’appendice della classe, né la sua sola salvezza, ma qualcosa come un’interpretazione a partire dai dati di realtà portati alla politica dalla cosiddetta “società civile”. In ognuno di questi casi, il partito è però un’intelligenza, e l’idea di Fabrizio Barca della «mobilitazione cognitiva», da questo punto di vista, è molto antica.
Analogamente, per Lenin:
«La coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dall’esterno (только извне), cioè dall’esterno della lotta economica, dall’esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni».
L’ «извне» è la traduzione esatta di «θύραθεν», il «только» il calco esatto del «μόνον». Lenin – che qui definisce ancora se stesso “socialdemocratico” – cita con approvazione Kautsky, che poi com’è noto confluirà nella frazione dei menscevichi:
«“La coscienza socialista è un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall’esterno (извне внесенное [von Aussen hineingetragen]), e non qualche cosa che ne sorge spontaneamente”».
Ciò significa – per Kautsky, le cui parole appaiono a Lenin «profondamente giuste e importanti» – che la coscienza socialista non è il risultato diretto della lotta di classe proletaria, ma un’aggiunta a essa da fuori:
«“Socialismo e lotta di classe nascono uno accanto (рядом) all’altra e non uno dall’altra (не одно из другого); essi sorgono da premesse diverse […]. Il detentore della scienza non è il proletariato, ma sono gli intellettuali borghesi [sottolineato da K.K.]; anche il socialismo contemporaneo è nato nel cervello di alcuni membri di questo ceto, ed è stato da essi comunicato ai proletari più elevati per il loro sviluppo intellettuale, i quali in seguito lo introducono nella lotta di classe del proletariato, dove le condizioni lo permettono”».
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