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L’indissolubilità del nesso partiti-democrazia

Num°09 POLITICAL PARTIES
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1. «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

L’art. 49 della Costituzione ha suscitato, e tuttora suscita, una molteplicità di questioni di rilevanza politico-costituzionale: in questa sede mi limito a sostenere la tesi secondo la quale la retorica attualmente dilagante intorno al tema della inutilità dei partiti – o, almeno, di un certo tipo di partiti –, conseguente naturalmente al sentimento di sdegno diffuso nei loro confronti, e che peraltro è latente anche nel tentativo che si sta operando nel nostro Paese di modificare la forma di governo in senso presidenziale, è, anzitutto, contraria alla concezione della democrazia accolta dalla Costituzione vigente, e, comunque, estremamente ipocrita. Sebbene alimentata, in misura sempre crescente, da una realtà di degrado che investe le attuali forze politiche, e che sembra non conoscere limiti, tale retorica si pone in netto contrasto con l’idea centrale accolta dalla nostra Costituzione secondo la quale i partiti sono lo strumento indispensabile al fine di realizzare la mediazione politica del pluralismo, della conflittualità insita in ogni convivenza sociale, attraverso l’esercizio della rappresentanza, ossia attraverso l’elaborazione di modelli ideali di vita in comune, offerti come progetti generali da realizzare concretamente indirizzando dall’esterno gli organi elettivi.

Le ragioni per le quali i partiti non svolgono (più) la loro indispensabile funzione rappresentativa sono molteplici, e assai complesse. In questa sede mi limito a osservare che l’analisi della questione non può essere condotta entro i limitati confini delle discipline giuridiche e politologiche: in altre parole, non è possibile separare il discorso morale da quello istituzionale. La questione è più profonda, poiché coinvolge certamente l’offerta ma riguarda altresì la domanda politica. In estrema sintesi, ritengo che oggi i cittadini non richiedano modelli ideali di vita in comune, ispirati a principî condivisi; aspirano piuttosto alla soddisfazione immediata di pretese individuali.

2. Quanto appena sostenuto richiede un breve approfondimento intorno al concetto di rappresentanza politica, senza il quale non si capirebbero le ragioni tanto della indissolubilità del nesso partiti-democrazia, quanto del venir meno della essenziale funzione rappresentativa dei partiti medesimi.

Quella che noi oggi definiamo sinteticamente “rappresentanza politica” è un istituto che ha due matrici: è «il prodotto instabile della (non piena) fusione di due distinte idee costituzionali».

La prima matrice deriva dal «modello discendente» del potere, ossia dal «principio per cui il potere è di origine extra sociale, e cioè non deriva dall’esercizio consapevole della libertà umana. Detto con il linguaggio teologico dell’epoca: ogni potere deriva da Dio». L’idea per cui «l’esercizio del potere (spirituale e temporale) implica una “rappresentanza” del vero titolare (assente) di quel potere – e cioè l’idea per cui il potere non viene esercitato “in proprio” da chi effettivamente lo detiene – è l’idea centrale di tutto il costituzionalismo (ecclesiastico e secolare) del medioevo: un costituzionalismo improntato dunque ad una idea di “duplicità”, che fonda, e rende necessario, il concetto di rappresentanza». In seguito, con la secolarizzazione del pensiero politico-teologico, le teorie contrattualiste attribuirono al popolo quella titolarità ultima del potere che precedentemente era stata attribuita a Dio, e mantennero con ciò ferma «l’idea che il titolare del diritto di esercitare quel potere – il monarca assoluto – fosse un rappresentante». Tuttavia, con questo passaggio, il modo di concepire la posizione e il ruolo del rappresentante nei confronti del rappresentato muta in un punto essenziale: «mentre il rapporto tra Dio e l’imperatore o i re territoriali era un rapporto unidirezionale, il rapporto tra il popolo e il re assoluto era un rapporto bidirezionale, perché il “rappresentatore” non si limitava a derivare il suo potere dal popolo (come il re da Dio), ma “costituiva” attraverso l’effettivo e assoluto esercizio di questo potere derivato, la stessa unità del popolo». In altri termini, l’idea hobbesiana del rappresentante che, essendo “uno” (una persona o un’assemblea) costituisce, con la sua “posizione”, l’unità dei rappresentati, dando vita a un corpo politico, «non è mai andata persa, non è affatto rimasta legata alla stagione dell’assolutismo».

L’indissolubilità del nesso partiti-democrazia

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Numero 09 POLITICAL PARTIES novembre, 2013 - Autore:  Condividi

 

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