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Il colpo mancato Sul significato della duplicità per i partiti politici

Num°09 POLITICAL PARTIES
hobbes

Nelle note che seguono affronto la questione della “duplicità” nei partiti politici e nella politica in generale. La mia tesi è che, se è vero che – innanzitutto e per lo più – noi incontriamo la duplicità in politica come bieca ipocrisia, da ciò non discende che ogni forma di doppiezza vada per ciò superata. Il sogno del superamento della duplicità accomuna – come cerco di argomentare – le posizioni, pur così distanti tra loro, di Hobbes e di Marx, di Schmitt, di Gramsci e di Croce, e si può considerare un retaggio politico della metafisica dell’uno. Ma in che senso la duplicità in politica è invece non solo inevitabile, ma addirittura opportuna e necessaria? e che cosa c’entrano gli ebrei in tutto ciò? perché esiste un nesso – per lo meno teoretico – tra la questione dei partiti e la questione ebraica? Sarebbero forse i partiti politici un esempio di quella “piccola differenza” che non solo per Carl Schmitt, ma anche per Walter Benjamin, costituisce uno dei tratti salienti della cultura ebraica? il partito, sta in un certo senso nella posizione dell’ebreo?

A partire da Hobbes – dalla sua complessa ricognizione del significato politico del “due” – l’articolo approda, tramite la mediazione decisiva dell’interpretazione schmittiana del Leviatano, a fondare ermeneuticamente la tesi per cui i partiti dovrebbero essere, al loro meglio, produttori di duplicità. Paradossalmente, tutta l’ipocrisia dei nostri politicanti non è affatto sufficiente a produrre un “due” siffatto. Non di unità, di linearità, deve andare in cerca la politica contemporanea, ma di un difficile “due”, che stia al di là, e non al di qua della coerenza.

1. Vederci doppio

Uno dei temi ricorrenti della filosofia politica di Hobbes è che non si possono servire due padroni. È soprattutto nel confronto con le pretese della religione, che la questione del “due” diventa imbarazzante. I privati cittadini non devono arrogarsi il giudizio sul bene e sul male, perché in questo consiste il peccato originale politico:

«[…] è di grande importanza per la pace comune che non si propongano ai cittadini opinioni o dottrine in base alle quali credano di non potere legittimamente obbedire alle leggi dello Stato […]; o che sia loro lecito di resistergli; o che una pena minore incomba su chi nega, piuttosto che su chi presta obbedienza. Se infatti uno comanda di compiere un’azione sotto pena di morte naturale, e un altro lo vieta sotto pena di morte eterna, entrambi a buon diritto, ne consegue non solo che dei cittadini, sebbene innocenti, possono venire legittimamente puniti; ma che lo Stato è del tutto distrutto. Infatti nessuno può servire due padroni, e colui che crediamo di dovere obbedire per paura della dannazione non è meno padrone di colui cui obbediamo per paura della morte naturale, anzi, semmai lo è di più. Segue dunque che l’uomo o la curia, cui lo Stato ha affidato il potere supremo, hanno anche il diritto di giudicare quali opinioni siano ostili alla pace, e di vietare che siano insegnate».

Una delle possibili chiavi di lettura dell’opera di Hobbes è proprio questa negazione del “due” in chiave anti-fondamentalista (sia poi il fondamentalismo di matrice cattolica o protestante). Per meglio dire: lo scontro del fondamentalismo politico e di quello religioso fa emergere un “due”, che entrambi vogliono cancellare a tutti i costi. Cancellarlo, significherebbe ristabilire la pace delle coscienze:

«Se infatti mi si ordina di fare qualcosa, che è peccato per chi lo ordina, facendolo non pecco, purché chi lo ordina sia mio signore legittimo. Se servo in guerra per ordine dello Stato, ritenendo che la guerra sia ingiusta, non agisco ingiustamente. Anzi, agirei ingiustamente se mi rifiutassi di servire in guerra, perché mi arrogherei la conoscenza del giusto e dell’ingiusto, che spetta allo Stato. Coloro che non osservano questa distinzione, ogni volta che si comanda loro qualcosa che è illecito, o sembra esserlo, si trovano nella necessità di peccare. Infatti, se obbediscono, agiscono contro coscienza; se non obbediscono, contro il diritto. Se agiscono contro la coscienza, mostrano di non temere le pene della vita futura; se agiscono contro il diritto, sopprimono, per quanto sta in loro, la società umana e la vita civile in questa vita».

Il colpo mancato Sul significato della duplicità per i partiti politici

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Numero 09 POLITICAL PARTIES novembre, 2013 - Autore:  Condividi

 

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