
Il pragmatismo è notoriamente legato alla pedagogia grazie all’opera di John Dewey che ad essa ha dedicato opere teoriche e iniziative pratiche durante l’intero arco della sua esistenza. Più in generale, però, l’intero movimento pragmatista è attraversato da una serie di temi che suggeriscono una certa interpretazione della pedagogia, che l’opera di Dewey ha certamente raccolto anche se non esaurito. In essa emerge in modo chiaro il tema che unisce i pragmatisti classici: il valore ampio dell’esperienza, intesa come luogo unitario e continuo di pensiero e azione, di fatto e valore, e persino di fisica e metafisica. La proposta deweyana è stata spesso riassunta nella formula del problem-solving, formula alle volte mal interpretata, o parzialmente interpretata, in chiave comportamentista o funzionalista, ma che nella sua origine voleva essere un riflesso di questa unitarietà o continuità del “pragma”, ossia dell’esperienza, che trova nella logica della ricerca il suo aspetto espressivo. Il problem-solving deve sviluppare tanto le capacità di colui che viene educato quanto la società all’interno della quale il problema si colloca, ma il fine rimane una comprensione e una costruzione critiche della realtà e non una mera funzionalità all’esistente. Tuttavia, anche vista in quest’ottica più ampia, la visione pragmatista della pedagogia rimane segnata da alcuni limiti strutturali, che riflettono un’incompletezza della svolta pragmatista dal punto di vista teoretico.
Infatti, i pragmatisti, poggiando sull’esperienza concepita come continuità, hanno proposto molti strumenti innovativi in diversi campi: dall’abduzione peirceana al flusso di coscienza jamesiano, dalla sociologia e dalla visione della temporalità di Mead alla logica strumentale e al metodo educativo di Dewey. Rimane, però, a mio avviso un aspetto cruciale che i pragmatisti non sono riusciti ad affrontare fino in fondo. Tutti i metodi elaborati tendono a proporre una versione “sintetica” della conoscenza, laddove “sintesi” significa l’inserimento nel nostro concetto di qualcosa di nuovo, di singolare e di non derivante da un altro concetto. Eppure, pur tendendo a questa visione persino in logica formale – Peirce aveva elaborato un sistema di logica formale, i Grafi Esistenziali, dove il vedere e il disegnare hanno una parte decisiva – non arrivarono mai a trovare uno strumento totalmente e radicalmente sintetico di ragionamento. Essi fornirono un’analisi della sintesi, tanto dal punto di vista del metodo di ragionamento (l’abduzione e i Grafi Esistenziali sono un buon esempio) quanto del metodo d’indagine. Un’analisi della sintesi ma non una descrizione di uno strumento totalmente sintetico che applichiamo normalmente nel nostro normale ragionamento sintetico, nella vita di tutti i giorni. Si noti che tale strumento sarebbe decisivo dal punto di vista pedagogico perché l’educazione è una sintesi e tanta parte della fatica educativa consiste proprio nel trovare strumenti adeguati per permettere di acquisire nuove conoscenze. Se si conoscesse uno strumento radicalmente sintetico e già naturalmente in uso, l’acquisizione di nuove conoscenze tramite questo strumento sarebbe favorita rispetto al metodo analitico con cui normalmente l’insegnamento, soprattutto quello scolastico, si svolge. In tal senso, non è un caso che le metodologie didattiche negli ultimi decenni abbiano cercato di trovare mezzi di coinvolgimento quali brain-storming, role playing, outdoor training, project work, e-learning, teatro d’impresa, cooperative learning che vanno nella direzione dell’unità teoria-pratica inaugurata dal problem-solving deweyano cercando di allontanarsi da una visione dicotomica di teoria e pratica nella conoscenza.
La proposta che voglio formulare consiste nell’individuazione di uno strumento base totalmente sintetico per l’acquisizione della conoscenza, strumento che possa poi essere declinato in metodologie diverse.
Gesto completo: uno strumento pragmatista per l’educazione