
Lo spazio, più che il tempo, costituisce un nodo epistemologico di difficile scioglimento per tutta la filosofia che abbia una vocazione trascendentale. Tale difficoltà, perciò, non risparmia la fenomenologia di Husserl, nella misura in cui essa aspira a rettificare, portando a vero compimento, l’idealismo trascendentale kantiano.
L’insidia risiede nel legame imprescindibile che lo spazio intrattiene con l’esteriorità e che si riflette immediatamente nella dinamica dell’affezione: fenomenologicamente, infatti, l’affezione non può apparire in se stessa se non nella sua apertura a qualcosa di altro e di trascendente. La spazialità, quindi, è di fatto la condizione di possibilità della fenomenalità nel suo aspetto transizionale, la condizione grazie alla quale il fenomeno è appreso nella sua occorrenza singolare e concreta.
Avvalendoci delle suggestioni di Marc Richir tenteremo in questa sede di mostrare, ribaltando la tesi classica, come proprio nello spazio, in quanto risvolto interno del tempo, sia possibile trovare il senso più profondo del trascendentale fenomenologico. A beneficio dell’argomentazione sarà tuttavia opportuno, per prima cosa, ripercorrere velocemente le analisi husserliane sulla genesi dello spazio, punto di partenza della speculazione dello stesso Richir.
Innanzitutto è bene ricordare che Husserl interroga lo spazio come strato appartenente all’essenza della cosa materiale. La spazialità viene cioè considerata come un “momento” necessario della res, come un carattere costitutivo di tutti gli oggetti sensibili. In questo senso lo spazio ha un carattere che, riprendendo il lessico delle Idee, definiremmo come eminentemente noematico. L’indagine husserliana, infatti, non ha per fine il reperimento di una qualche essenza della spazialità, ma, conformemente all’atteggiamento fenomenologico generale, la comprensione dello spazio in quanto proprietà della cosa. Non si tratta cioè di un’interrogazione astratta, pura, poiché il primum della datità è la cosa, non una vuota forma a priori della sensibilità. Husserl si sforza quindi di descrivere i modi in cui lo spazio si fenomenalizza, la genesi dei diversi tipi e delle diverse strutture di spazio, a cominciare dallo strato percettivo, e il come della loro costituzione.
Ora, relativamente alla costituzione, occorre distinguere due livelli: uno pre-intenzionale e uno intenzionale. Lo spazio propriamente detto inerisce, per Husserl, all’oggettività mondana e presuppone quindi una struttura costituente avanzata, che include l’intersoggettività e un’attività posizionale. Tuttavia, l’intenzionalità d’atto che entra qui in gioco implica a sua volta una genesi sintetica passiva di unità cinestetico-hyletiche, costituenti il sistema di orientamento elementare fondato sul corpo. A questo stadio sembra preferibile parlare, più che di intenzionalità, di associazione tra cinestesi e variazioni del campo percettivo. Senza cinestesi — scrive Husserl a Cairns — il flusso hyletico esibirebbe sì i propri cambiamenti qualitativi, ma non potrebbe in alcun modo essere colto in quanto adombramento (Abschattung) di un oggetto identico. Così, «il datum hyletico uno e identico è il prodotto costituito di questa concorrenza tra la differenza fenomenale determinata dalla spontaneità cinestetica e la sintesi di identificazione fondata sulla modificazione di inattualità, nello stesso flusso ritenzionale». La descrizione della genesi fenomenologica dello spazio si basa sulla descrizione delle relazioni che si instaurano tra determinati campi percettivi in virtù della loro dipendenza dalla serie concomitante di variazioni cinestetiche: per esempio, la correlazione tra il variare di un campo percettivo, o il passaggio da un campo a un altro, a fronte dell’immobilità cinestetica, motiva l’apprensione del movimento.
Notiamo che questo tipo di associazione non mette in collegamento solo uno stato cinestetico con un luogo determinato, ma tutti i punti del campo percettivo con il sistema delle facoltà cinestetiche dell’organo sensoriale coinvolto. Questa corrispondenza permette l’identificazione di due contenuti qualitativi che occupano posizioni differenti in due punti temporali distinti. Di conseguenza, il campo percettivo risulta definito come una molteplicità nata dalla sincronizzazione progressiva dei sistemi cinestetici propri di organi diversi. La costituzione pienamente dispiegata della spazialità si produce allora attraverso l’integrazione di spazialità differenziate e per così dire “parziali” (potremmo anche definirle “proto-spazialità”), accordate a differenti sistemi organici e cinestetici, in modo tale che la cosa percettiva poli-sensoriale trascenda i campi sensoriali singoli attraverso i quali si manifesta. Si dà, insomma, una sorta di traduzione interna tra spazi di natura eterogenea: semplicemente topologici, poi bidimensionali, tridimensionali, etc. Mano a mano che entrano in comunicazione, grazie ad associazioni successive dei corrispondenti sistemi cinestetici, le molteplicità spaziali iniziano ad armonizzarsi reciprocamente sconfinando l’una nell’altra. Tanto più alta è la coordinazione tra la molteplicità delle apparizioni percettive e il sistema degli organi senso-motori, tanto più le apparizioni stesse si avvicineranno al loro optimum. Così l’aggiustamento normale tra sensazioni esterne e sensazioni cinestetiche è una correlazione biunivoca tra due molteplicità continue, quella delle variazioni percettive e quella dei sistemi cinestetici. Tale processo di normalizzazione è anche una riduzione dell’infinito al finito, dove l’infinito appartiene al campo percettivo, in cui le apparizioni sfumano l’una nell’altra senza soluzione di continuità e non esistono superfici chiuse, e il finito allo spazio geometrico euclideo dell’esperienza costitutivamente più avanzata. Il supporto che rende possibile l’articolazione delle due molteplicità in un’unità globale dello spazio percettivo è ciò che Husserl chiama Leib (corpo proprio o corpo vissuto a seconda delle traduzioni).
Introducendo questa nozione scivoliamo da una descrizione tecnica, sostenuta dalle competenze matematiche di Husserl, a una descrizione che ambisce ad acquisire un tenore trascendentale (dal punto di vista testuale essa può essere reperita nel secondo volume delle Idee). In altre parole, non è più semplicemente questione di portare alla luce la correlazione tra le varie forme di spazio, ma di comprendere quale sia la condizione di possibilità della correlazione stessa e lo statuto fenomenologico dello spazio totale e omogeneo che ne risulta costituito. Se il discorso sviluppato in La cosa e lo spazio ha permesso di chiarificare le leggi formali che regolano l’istituzione delle molteplicità proto-spaziali, Husserl sente ora il bisogno di radicare in un centro quelle molteplicità hyletico-cinestetiche, potenzialmente infinite, di legittimare la possibilità della loro unificazione e coordinazione. La costituzione dello spazio reale esigerebbe dunque la presenza di nuclei di orientazione, di coordinate assolute rispetto a cui situare tutti gli altri elementi spaziali. L’analisi matematico-formale non spiega infatti la ragione della preferenza accordata a un determinato sistema di coordinate piuttosto che a un altro e, di conseguenza, il senso che gli atti intenzionali costituiscono in relazione alle molteplicità spazio-percettive. Questo è dunque il compito che la fenomenologia si assegna attraverso lo studio della costituzione intenzionale.
La genesi fenomenologica dello spazio passa per la costituzione del corpo proprio, in seno al quale i differenti spazi sono integrati e coordinati. E la costituzione del corpo proprio si svolge secondo un processo di sdoppiamento: tra l’auto-percezione delle sensazioni primitive (Empfindnisse) e i data hyletici che rinviano all’esteriorità si apre cioè un campo percettivo, il quale trova il suo centro di orientazione nella corporeità (Leiblichkeit) del Leib. La corporeità è una sorta di organo trascendentale in virtù del quale l’ego si fa soggetto della propria mondanizzazione. Questa dualità ne suscita un’altra: la corporeità si ancora infatti a un sistema di sensazioni fisse intenzionalmente costituite, ovvero a un corpo che la oggettiva. Tale è il cosiddetto Leibkörper, vale a dire il corpo che si coglie come incarnato nel mondo che, nondimeno, ha esso stesso costituito.
La dualità tra Leib e Leibkörper rende così ragione dello statuto ambiguo della spazialità, per un verso centrata e obiettiva, per un altro irriducibile al sistema di coordinate, sempre relativo, all’interno del quale si manifesta. Una coordinazione delle serie spazio-motorie è possibile solo presupponendo la loro iscrizione nel “qui” assoluto a cui il corpo proprio rimanda. Così, io posso per esempio vedere me stesso, o sentirmi percepire qualcosa, averne un’Empfindnis, associando percezioni diverse a un unico luogo. La spazialità mondana è un sistema di luoghi tra i quali il Leib percipiente, che è un luogo, ha la propria sede in un corpo, così che le sue percezioni interne (cinestetiche e sensibili) risultano già sempre associate a delle sensazioni esterne. Questo rimando reciproco è motivato dalla co-variazione dei sistemi cinestetici e dalla loro inter-percezione: la mano destra può toccare la sinistra e immediatamente la sinistra toccherà la destra, la mano può toccare il piede e il piede la mano, l’occhio può vedere la mano, vedere la mano toccare il piede, e così via.
Veniamo ora più propriamente alla questione dell’esteriorità, in quanto determinazione della spazialità mondana e, come tale, concetto cardine alla base della riflessione husserliana sullo statuto dell’oggettività.
Per Husserl la spazialità rappresenta la dimensione più originaria della sfera noematica e ha perciò un carattere intermedio tra la temporalità, la cui struttura fenomenologica propria è indipendente da quella del mondo, e l’oggettività propriamente detta, che si costituisce con un atto politetico, comprendente anche gli strati superiori e predicativi dell’esperienza. Elaborare una fenomenologia della spazialità significa quindi porre le basi per una fenomenologia della mondanizzazione. Lo studio della costituzione dello spazio come struttura fenomenologica è allo stesso tempo lo studio di quei processi genetici attraverso i quali, dai puri data della sensazione, siamo rinviati a un mondo costituito. Laddove, dal punto di vista formale, Husserl aveva riconosciuto nella temporalità la prima apertura al mondo, dal punto di vista concreto è invece la proto-spazialità non ancora sintetizzata dei data hyletici ad assumere questo ruolo. Dato questo carattere intermedio e transitivo dello spazio, il compito della fenomenologia consiste certo, da un lato, nel determinarne le proprietà – da quelle elementari e fantasmatiche a quelle di ordine superiore, che su di esse si fondano –, ma, dall’altra, nel definire l’oggettività in quanto tale. Si assiste perciò a un’oscillazione interna alla nozione stessa di spazio, che costituisce sia una determinazione intra-mondana, sia l’orizzonte della trascendenza in quanto tale.
L’epoché iperbolica: per una spazializzazione del trascendentale