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Dalla sferologia all’immunologia: la teoria dello spazio di Peter Sloterdijk

Num°11 SPACE
sloterdijk

La trilogia che porta il nome di Sfere – sicuramente l’opera sistematica più rilevante scritta da Peter Sloterdijk – per ogni volume che la compone offre una declinazione diversa di tale concetto. Il primo volume, Bolle, ha per sottotitolo Microsferologia (Blasen, Mikrosphärologie); il secondo, Globi, Macrosferologia (Globen, Makrosphärologie); il terzo, Schiume, Sferologia plurale (Schäume, Plurale Sphärologie).

L’opera di Sloterdijk è costellata di definizioni di sfera, a volte anche molto distanti l’una dall’altra.

Però – al fine di avanzare un’analisi della sferologia sloterdijkiana, della sua polivocità, delle sue prospettive e delle sue problematicità – può forse essere d’aiuto incominciare proprio da una di queste definizioni:

«La ricerca del nostro dove è più sensata che mai, poiché essa si interroga sul luogo che producono gli uomini per avere ciò in cui possono apparire ciò che sono. Questo luogo porta in questa sede, in memoria di una tradizione rispettabile, il nome di sfera. La sfera è la rotondità dotata di un ulteriore, utilizzato e condiviso, che gli uomini abitano nella misura in cui pervengono ad essere uomini. Poiché abitare significa sempre costruire delle sfere, in piccolo come in grande, gli uomini sono le creature che pongono in essere mondi circolari e guardano all’esterno, verso l’orizzonte. Vivere nelle sfere significa produrre la dimensione nella quale gli uomini possono essere contenuti. Le sfere sono delle creazioni di spazi dotati di un effetto immuno-sistemico per creature estatiche su cui lavora l’esterno».

A partire da questa definizione possiamo incominciare col sostenere che la sfera ha dunque a che vedere principalmente con la spazialità e la creazione di spazio, con un rapporto di mutuo e reciproco rimando tra interno e esterno, tra creare spazi e abitare.

Per comprendere meglio questo rapporto bisogna innanzitutto distinguere microsferologia e macrosferologia: solo dalla comprensione della loro reciproca interazione sarà possibile arrivare a capire la peculiarità e la complessità insita nel concetto di sfera.

La microsfera può essere descritta come l’unità originaria costitutiva di quello che sarà l’individuo. Sue parti fondamentali sono l’insieme di quelle che Sloterdijk definisce relazioni noggettuali a partire dal concetto di noggetto derivato da Thomas Macho. Sloterdijk definisce noggetti (Nobjekte) realtà che non hanno ancora una presenza oggettiva, “oggetti non dati” che vengono prima della divisione soggetto/oggetto: «Co-realtà che, con una modalità che non prevede confronto, aleggiano come creature della vicinanza, nel senso letterale del termine, davanti a un sé che non sta loro di fronte: trattasi precisamente del pre-soggetto fetale».

Sloterdijk, come anche Macho nel saggio Segni dall’oscurità a cui si rifà, critica le tre fasi che secondo la psicoanalisi freudiana danno la descrizione delle relazioni precoci (orale, anale, genitale) come inficiate fin dall’inizio dalla petitio principii della necessità del rapporto a un oggetto.

A tali tre fasi Macho prepone altri tre stadi pre-orali, quelli noggettuali appunto, che, sulla scorta delle più recenti indagini sulla struttura dello sviluppo prenatale, dovrebbero descrivere in maniera più completa il rapporto madre-feto.

La prima fase pre-orale/noggettuale è una “fase coabitativa fetale” in cui il noggetto esperisce la presenza sensoriale dei liquidi, dei corpi e dei limiti della caverna uterina.

Questa prima fase si riproporrà prepotentemente in tutta la speculazione sloterdijkiana, in quanto l’abitare, l’essere-nello-spazio e il costruire-lo-spazio, sarà la caratteristica fondamentale dell’essere umano. L’immersione del feto nel liquido amniotico e nel sangue e il rapporto con la placenta sono le altre caratteristiche fondamentali di questo stadio.

L’essere sospeso nel medium amniotico sarà per Sloterdijk l’origine della necessità umana di creare spazi entro cui sia stabilita un’atmosfera, un clima, ossia una determinazione antropica attraverso modifiche tecniche; esso sarà il fondamento di tutti i tentativi umani di “culturalizzare” lo spazio esterno, tentativi di cui Sloterdijk conduce un’ampia fenomenologia, dispiegata principalmente nel II volume di Sfere.

La seconda fase noggettuale consiste in una “iniziazione psicoacustica del feto nel mondo sonoro uterino”, in cui Sloterdijk segue ancora Macho nel concentrare l’attenzione sull’importanza della voce come cordone ombelicale che unisce ancora, dopo il parto, il neonato con la madre, e che sarebbe il germe di ogni comunicazione futura.

L’ultimo stadio noggettuale è quello della “fase respiratoria”, che può essere considerato come la trasposizione extrauterina della prima fase noggettuale. Se la prima vera esperienza del soggetto in fieri è quella dell’immersione in un medium fluido entro le delimitazioni spaziali del corpo materno, possiamo da qui dedurre l’importanza che l’analisi dei media assume nelle considerazioni di Sloterdijk.

A partire dalla microsfera dunque l’uomo è descritto come abitatore dell’interno, come essere strutturato da una spazialità originaria, che tenterà di ripetere sempre e ovunque con ogni mezzo, una volta uscito dall’utero materno.

Sloterdijk arriverà a sostenere che la storia della tecnica è la storia dell’uterotecnica: il tentativo, incompleto per antonomasia, di riproporre al di fuori dell’utero le condizioni intrauterine: gli stadi noggettuali dell’immersione originaria nel medium fluido del grembo materno e i brandelli comunicativi appartenenti alla fase pre-orale psico-acustica perseguiteranno il soggetto in tutta la sua storia, che sarà costellata da continui tentativi di creare media perfetti per una comunicazione illimitata, ripetizione dello stadio primordiale.

Qui si effettua anche il passaggio dalla microsferologia (bolle) alla macrosferologia (globi): quest’ultima, il cui itinerario è esplicato principalmente nel II volume della trilogia, coincide con la storia dell’uomo, ed è una fenomenologia dei tentativi più o meno riusciti di creare delle sfere che sostituiscano la perdita della microsfera originaria.

Le macrosfere sono sistemi di vita entro cui si svolgono continuamente dinamiche di passaggio da microsfere a macrosfere, e in cui l’inclusione in una macrosfera non esclude la compresenza di molte altre realtà macrosferiche e microsferiche a cui possono appartenere anche i medesimi individui: non bisogna pensare microsfere e macrosfere come entità in contrapposizione, in reciproca concorrenza o alternanza. Se – infatti – le microsfere rappresentano l’individuo dal punto di vista singolare, pur nella sua costitutiva apertura all’alterità, le macrosfere sono i collettori sociali (tenuti insieme da legami simbolici) entro cui fin dall’inizio le microsfere (e i loro mutamenti, le loro storie e i loro drammi) si danno.

Il terzo volume della trilogia sloterdijkiana, descrive l’idea di società schiumosa, successiva al definitivo tramonto della macrosfera europea avvenuto in seguito alle grandi esplorazioni, che per Sloterdijk hanno distrutto un’immagine del mondo (quella che si costituì a partire dalla speculazione filosofica e religiosa dell’antichità greca e cristiana: l’insieme codificato di convenzioni pratiche e metafisiche strutturatesi nel tempo fino a formare un’immagine del mondo condivisa da praticamente la totalità dei contemporanei) che si era consolidata e che aveva governato per quasi 2000 anni l’universo simbolico occidentale:

«Per mezzo del concetto di schiuma, descriviamo degli agglomerati di bolle, nello spirito degli studi microsferologici che abbiamo pubblicato in precedenza. Questa espressione designa dei sistemi o degli aggregati di vicinanze sferiche in cui ogni “cellula” costituisce un contesto autocomplementare (in linguaggio corrente: un mondo, un luogo), uno spazio sensoriale intimo, teso da risonanze diadiche e multipolari, o ancora un “focolare” (Haushalt) che vibra nell’animazione che gli è propria, animazione che solo questo può provare e che non si può che provare in questo. Ciascuno di questi focolari, ciascuna di queste simbiosi e alleanze è una serra di relazioni (Beziehung-Treibhaus) sui generis».

Dalla sferologia all’immunologia: la teoria dello spazio di Peter Sloterdijk

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Numero 11 SPACE luglio, 2014 - Autore:  Condividi

 

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