
Generalmente in italiano con il termine fortuna si suole rendere la parola greca τύχη. In realtà l’italiano fortuna non rispecchia l’esatto valore semantico della nozione greca di τύχη, poiché, mentre quest’ultima denota un fenomeno qualitativamente neutro, ossia in sé né positivo né negativo, ma potenzialmente declinabile in senso favorevole (εὐτυχία) o sfavorevole (ἀτυχία), invece l’italiano fortuna presenta un’accezione decisamente positiva, indicando prosperità, successo, in breve una “sorte favorevole”. Sarebbe quindi più corretto rendere τύχη con sorte, come d’altronde – nel caso dei testi aristotelici, che sono quelli che qui ci riguardano direttamente – alcuni traduttori italiani fanno, e usare fortuna nel senso di prosperità per tradurre, piuttosto, εὐτυχία, il cui prefisso εὖ (“bene”) assegna a τύχη, appunto, il senso positivo di “buona sorte”, come, analogamente, δυστυχία ed ἀτυχία, in virtù dei loro prefissi, negativo l’uno, privativo l’altro, di δυς e α, denotano la “sorte avversa”. Lo stesso Aristotele, in special modo nelle sue pagine etiche, permette di distinguere con estrema chiarezza la τύχη (sorte) dall’εὐτυχία (buona fortuna, prosperità). Tra i contesti aristotelici nei quali appare netta la distinzione concettuale tra τύχη ed εὐτυχία, cioè tra la generica sorte e la vera e propria fortuna, nel senso positivo che questo termine ha nella lingua italiana, si segnalano, ad esempio, Etica Nicomachea, I, 11, 1100b 22ss. («siccome sono molte le vicende della sorte (κατὰ τύχην) e differenti tra loro secondo grandezza e piccolezza, le fortune (τῶν εὐτυχημάτων) piccole, come pure le sfortune piccole, chiaramente non hanno peso nella nostra vita, mentre le fortune e sfortune grandi, e che si verificano in gran numero, se positive rendono la vita più beata»), Retorica, 1361b 39ss. («si ha fortuna quando si hanno tutti, o in gran parte, i beni di cui la sorte è causa»), Metafisica, K, 8, 1065a 35-b 1 («la sorte è, poi, buona o malvagia, a seconda se comporti effetti propizi o avversi. Si parla di fortuna o di sventura in relazione alla portata degli effetti»), e il cap. 8 del II libro della Grande Etica, opera che, per quanto non sia autenticamente aristotelica, ma molto probabilmente attribuibile a qualche discepolo diretto del filosofo, rispecchia in modo abbastanza fedele la problematica morale dello Stagirita. La scelta di sorte per intendere la τύχη appare tuttavia minoritaria e la maggior parte degli interpreti continua a tradurre con fortuna, raramente con sorte, spesso anche con caso. Rendere in Aristotele τύχη con caso non è errato in linea di principio, perché la τύχη – come vedremo – è una specie del genere αὐτόματον (termine che generalmente viene tradotto con caso o anche con spontaneità), ma non è nemmeno del tutto corretto, in quanto, come spiega Aristotele in maniera ineccepibile in Fisica, II, 6, 197b 1ss., la nozione di τύχη investe l’ambito umano, ossia chi è libero e capace di deliberare, mentre l’αὐτόματον attiene anche agli animali non umani e alle cose inanimate: « [...] per costoro – afferma Aristotele in Fisica, II, 6, 197b 6-11 riferendosi alle bestie, alle cose e ai fanciulli – non c’è né prosperità (εὐτυχία) né sfortuna (ἀτυχία), a meno che non si voglia parlare per similitudine, come diceva Protarco: che son fortunate (εὐτυχεῖς) le pietre da cui si cavano gli altari, perché sono venerate, mentre le loro consorelle vengono calpestate». La traduzione di τύχη con caso è invece accettabile quando si vogliono rendere espressioni fraseologiche come ἀπὸ τύχης o τύχῃ (“per caso”), spesso contrapposte a φύσει o ad ἀπὸ φύσει (“per natura”), a τέχνῃ o ad ἀπὸ τέχνης. In conclusione, per quanto, a mio parere, il termine italiano fortuna con la sua portata decisamente positiva falsi il significato greco di τύχη, questo modo di tradurre rimane quello prevalente; l’importante è assegnare a questa parola un significato neutro, fedele al suo corrispettivo greco, che nella lingua italiana essa non ha, e denotare con la τύχη/fortuna quella realtà, a volte personificata mitologicamente in una forza sovraumana, naturale o divina, percepita come un fenomeno irrazionale, imperscrutabile e destabilizzante, i cui effetti possono renderci sia felici che sventurati.
Il concetto di fortuna (τύχη ed εὐτυχία) in Aristotele