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Volti della fortuna. Note su un dibattito rinascimentale

Num°12 LUCK
Pomponazzi

Luogo retorico tra i più diffusi, vera e propria “banalità”, la nozione di fortuna percorre prosa e poesia, arte e riflessione politica con la forza persuasiva della massima (sententia), affermazione universale che riflette una opinione condivisa, saldamente insediata nel senso comune.

«Dime, Fortuna, tu che regi el mondo,

volgendo pur la rota al tuo volere,

onde ti vien tal voglia o tal podere,

che tu fai triste l’un, l’altro giocondo?»

Nel sonetto del trecentesco Matteo Correggiaio il quesito sul fondamento ontologico della fortuna trapassa subito nell’amara evocazione dell’inarrestabile “rota”, scansione fatale delle alterne vicende dell’uomo, e si conclude con l’esecrazione della tiranna impietosa e funesta:

«Pensar non so se tu fussi a la prova,

di quel ch’io ti ragiono che diresti,

altro che tua natura è così nova.

Or maladetto il punto che nassesti

e maladetta tu che regni sola,

che qual più t’ama impicchi per la gola».

Entità polimorfa e plastica, la fortuna è talvolta «benigna» e «graziosa»; ma il suo patronato è insidioso e malcerto, perché in un istante, «con soi larghi e pronti giri rotandosi», può vanificare qualunque progetto, distruggere faticose conquiste, deludere ogni speranza: sempre capricciosa e instabile, la fortuna dei letterati è per lo più “ria”, “crudele” o “aspra”. All’impeto di fortuna, motore di innumerevoli narrazioni, l’estro individuale risponde ora con animosa recriminazione, forza d’animo inconcusso, umile rinuncia, ora con lo smascheramento di una nozione illusoria, tutta umana e fantastica, come in Matteo Bandello, che consegna il mondo al caos del “mirabile accidente”, del “caso possibile”, diretto dall’insondabile disegno provvidenziale:

«Strani e spaventosi talora son pur troppo i fortunevol casi che tutto ’l dì veggiamo avvenire, e non sapendo trovar la cagione che accader gli faccia, restiamo pieni di meraviglia. Ma se noi crediamo, come siamo tenuti a credere, che d’arbore non caschi foglia senza il volere e permission di colui che di nulla il tutto creò, pensaremo che i giudicii di Dio sono abissi profondissimi e ci sforzaremo quanto l’umana fragilità ci permette a schifar i perigli, pregando la pietà superna che da lor ci guardi. La fortuna lasciaremo riverire agli sciocchi, e lodaremo il satirico poeta che disse: “O fortuna, noi uomini ti facciamo dea ed in cielo ti collochiamo”».

Volti della fortuna. Note su un dibattito rinascimentale

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Numero 12 LUCK ottobre, 2014 - Autore:  Condividi

 

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