
Prima di esaminare il concetto di fortuna in Seneca, è opportuno definirne in generale il valore e il significato. Il nome, legato a fors, fortis e derivato dal verbo fero attraverso una radice in –u *fortus, è uno degli esempi canonici di vox media, ovvero di vocabolo che può assumere valenze positive o negative. Come nota O. Hey nella voce del Thesaurus linguae Latinae, fortuna può significare effectus vel vis rerum casu vel fortuito accidentium, τύχη, sors, casus; quando ha valenza negativa può significare res adversae e infelicitas; se invece ha valore positivo res secundae, felicitas. L’area semantica su cui insiste il termine è estremamente vasta e va dalla connotazione di ciò che accade per caso alla definizione di una forza che agisce condizionando la realtà umana, all’idea della sorte, che può risultare buona o cattiva a seconda delle circostanze. La pregnanza del vocabolo – e anche la sua irriducibilità a ogni semplificazione semantica – è confermata dalla ricchezza di relazioni con altri concetti come casus, condicio, eventus, fatum, felicitas, sors, status (rapporti di analogia), animus, natura, ratio virtus, voluntas (rapporti di opposizione). Fortuna è poi vocabolo di natura religiosa e identifica a Roma e nel mondo laziale e italico una figura divina dai contorni variegati, parallela alla divinità nota in greco come Tyche.
Ricognizioni sul tema della fortuna in Seneca