
In ambito etico ed epistemologico la questione della sorte (o fortuna) ha ricevuto una certa attenzione, specialmente nella tradizione analitica, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso. Il concetto di moral luck è stato proposto al dibattito dal seminale saggio di Bernard Williams dall’omonimo titolo ed è stato poi discusso, tra gli altri, da Thomas Nagel. Al breve articolo di Gettier Is Justified True Belief Knowledge? (1963) si deve invece l’origine della discussione intorno alla nozione di epistemic luck, poi dibattuta da diversi autori. In entrambi i casi, per dirla molto superficialmente, parte dell’interesse filosofico per la sorte riguarda il fatto che se non siamo padroni del nostro agire e del nostro conoscere, poiché non siamo in grado di controllare premesse e conseguenze delle nostre azioni o di giustificare adeguatamente le nostre credenze, siamo esposti alle intemperie dell’imprevedibile in un modo che mina alle fondamenta la possibilità di costruire solidi edifici morali e gnoseologici resistenti all’amoralismo e allo scetticismo. Uno dei problemi principali è capire se e in che misura l’intervento della sorte sia compatibile con l’imputabilità morale e con la veridicità delle nostre credenze.
La nozione di aesthetic luck, mi si passi il facile gioco di parole, non ha avuto la stessa fortuna. In campo estetico non c’è un dibattito analogo a quello in corso in etica ed epistemologia. Se è vero che rovistando nella letteratura specializzata ci si può imbattere, spesso per caso, in qualche scarno accenno al tema, manca una pubblica discussione sull’argomento. Perché? Questa assenza potrebbe essere dovuta all’infecondità, all’impraticabilità o all’implausibilità stessa della nozione di sorte estetica.
Mi occuperò del problema cominciando da un breve esame della relazione tra arte e fortuna (§ 2), in base all’analogia strutturale tra sorte artistica e sorte morale. Quindi (§ 3) discuterò la nozione di sorte estetica come un tipo di sorte costitutiva. Infine (§ 4) esplorerò criticamente tre casi, apparentemente promettenti, di sorte estetica: l’apprezzamento estetico della natura disastrata, la gratuità dell’esperienza estetica e la giustificazione del giudizio estetico.
Prima di entrare in medias res è opportuno un chiarimento terminologico. In inglese “luck” traduce normalmente “fortuna”, termine che, almeno nel linguaggio quotidiano, si usa ormai in italiano per lo più in senso positivo, come contrario di “sfortuna”, a indicare la “sorte” favorevole o buona. Usato in senso “neutro”, “luck” può essere però inteso come sinonimo di “sorte”: la possibilità di condizioni buone o cattive che, pur non dipendendo dal controllo dell’essere umano, interferiscono con la sua vita. Più ampia è l’applicazione del concetto di caso, che interessa qualunque avvenimento non controllabile dall’essere umano e non necessariamente connesso alla sua vita, le cui cause sono ignote (ma non per forza inesistenti) e/o la cui probabilità è scarsa. L’articolo sopra menzionato di Bernard Williams, Moral Luck, è stato tradotto in italiano con Sorte morale, probabilmente per mantenere l’elasticità dell’espressione inglese. Per la stessa ragione uso le espressioni “sorte estetica” e “sorte artistica” per rendere le espressioni inglesi “aesthetic luck” e “artistic luck”. Quando adopero il termine “fortuna” (di cui propongo una definizione in § 4.2) mi riferisco (tranne in pochi casi inequivocabili) alla buona sorte, a ciò che, avvenendo per caso, comporta conseguenze favorevoli (per qualcuno, in un certo contesto, relativamente a certi scopi, interessi, bisogni, desideri). Fatta questa precisazione terminologica, cominciamo senz’altro la nostra riflessione.
Sorte estetica: sulla (s)fortuna di un concetto