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Quanta fortuna? Machiavelli e il dilemma della contingenza

Num°12 LUCK
Machiavelli

La teoria politica nella sua versione kantiana sembra aver trovato un accordo – che qui riesco a restituire solo in versione generica e approssimativa – sulla considerazione che i valori morali siano (debbano essere) immuni dall’influsso della sorte: quando si parla di valori morali – per Kant – si sta parlando, in una parola, di valori incondizionati. Le conseguenze di questa affermazione sono principalmente due: tutto ciò che dipende, o potrebbe dipendere, dalle contingenze non può essere né oggetto né elemento di valutazione morale; nell’agire ciò che conta è l’intenzione, e non i cambiamenti effettivamente prodotti nel mondo.

Proposito del presente articolo non è quello di smentire – o, viceversa, accreditare – l’aspirazione kantiana più sopra enunciata: quello che, più semplicemente, vorrei esaminare nelle pagine che seguono è un modo diverso di affrontare la contingenza, il modo machiavelliano.

La contingenza è qui intesa come ciò che semplicemente accade, come ciò che accade indipendentemente dalla teoria e al di fuori delle possibilità di controllo della teoria stessa. Per contingenza intendo quindi i fatti politici e gli eventi politici, i primi contraddistinti dalla loro mutevolezza e i secondi dalla loro imprevedibilità. È chiaro che se la contingenza è così intesa, essa pone un problema alla filosofia politica, o più in generale alla teoria (ma anche, come si vedrà, alla politica intesa come pratica politica). In effetti, fatti politici mutevoli e eventi imprevedibili eccedono o tendono ad eccedere qualsiasi tentativo di sistematizzazione teorica e, anche, a minare la sensatezza di criteri normativi, di criteri di valutazione, i quali possono rivelarsi adeguati e lungimiranti in certe circostanze, ma non appropriati per essere utilizzati in circostanze diverse, non adeguati cioè né per registrare il nuovo, sotto forma, per esempio, di eventi inaspettati, né per renderne conto, anche a posteriori.

La scelta di esaminare le competenze machiavelliane in merito alla tensione tra teoria politica e contingenza è giustificata dalla considerazione di come il registro dell’agire politico si situi per Machiavelli precisamente nel rapporto tra virtù e fortuna: la fortuna è ciò che sfugge, è la configurazione che prende in un dato momento il conflitto che devasta lo spazio politico, quello che divide – per usare il vocabolario machiavelliano – i più, che non vogliono essere dominati, e i grandi che vogliono dominare. La virtù è la romana virtus, la capacità di agire e di rimanere sempre in equilibrio in un contesto senza via di uscita, una capacità che si unisce alla competenza all’azione, per il conseguimento della libertà: essa implica il riconoscimento del ruolo irrinunciabile della decisione (di un leader) nell’esercizio di ogni potere politico, senza tregua chiamato a scegliere tra esigenze differenti e plurime, solo in parte compatibili.

La fortuna, nel Principe ma forse ancora di più – come cercherò di dimostrare – nelle Historie Fiorentine, può essere anticipata, bene o male usata, ma mai governata, mai definitivamente “addomesticata”. È celebre l’argomento machiavelliano sulla fortuna, come scrive Claude Lefort ne Le forme della storia (Lefort 2005, pp. 163): in particolare, nel venticinquesimo capitolo del Principe, si legge un elogio della libertà, e più esattamente l’affermazione del potere che l’essere umano, grazie alla sua intelligenza, ha di governare almeno in parte il gioco cieco delle forze naturali. È proprio questo che insegna la celebre metafora del fiume:

«Et assomiglio quella (la fortuna) a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s’adirano, allagano e’ piani, ruinano li arberi e li edifizii, lievono da questa parte terreno, pongono da quell’altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, sanza potervi in alcuna parte obstare. E, benché sieno cosí fatti, non resta però che li uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare provvedimenti, e con ripari et argini, in modo che, crescendo poi, o andrebbono per uno canale, o l’impeto loro non sarebbe né si licenzioso né si dannoso. Similmente interviene della fortuna: la quale dimonstra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle, e quivi volta li sua impeti, dove la sa che non sono fatti li argini e li ripari a tenerla» (N. Machiavelli, Principe, cap. XXV).

Quanta fortuna? Machiavelli e il dilemma della contingenza

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Numero 12 LUCK ottobre, 2014 - Autore:  Condividi

 

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