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Alterna fortuna. Sul dispendio del “più minuto popolo”

Num°12 LUCK
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Abbigliato con la veste bianca dell’innocenza, vergine e senza colpe, il bambino alza la mano. È una mano che si vorrebbe baciata dai Santi, benedetta dalla Madonna. Per suo tramite, quella mano è dispensatrice di grazia. La gente ripete sulle labbra i propri numeri e non manca chi, a quei numeri, inframmezza le sillabe di una preghiera. Un misto di attrazione e orrore, come nell’imminenza di un’esecuzione capitale, accompagna l’attesa della sorte. Anche se, così scriveva Georges Bataille, «l’orrore non è la verità», ciò nonostante è lì che qualcosa si svela e si rivela. Anche delle meccaniche di esclusione/espulsione/coesione/dispendio/controllo sociale.

1. Fortuna che cade

L’orrore è una possibilità infinita, che ha per solo limite la morte – è sempre l’autore dell’Experience intérieure e La Part maudite a indicarcelo –, ma l’uomo è fatto di un’abiezione possibile, la sua gioia di dolori possibili. Il gioco è (anche) la continua oscillazione entro queste polarità: abiezione-gioia o, per riprendere le parole di Karl Gross, di gioco e pianto. La fortuna può invece essere letta come ciò che lo fa cadere dal lato della gioia, anziché del dolore. È ancora in questo possibile che si colloca dunque l’incapacità, per l’uomo, di immunizzarsi totalmente dal contatto con ciò che altrove considererebbe sventurato o abietto e qui considera fortunato e santo. Da questa incapacità discendono non poche conseguenze per ciò che chiamiamo alto, basso, miserabile, libero, degno o indegno di essere sperimentato o vissuto. La sorte, per come si è concretamente configurata nei moderni rituali di gioco collettivi o in quelli iperindividualizzati della post-modernità, ha qualcosa che inevitabilmente si collega alla continua sovversione di piani simbolicamente opposti (alto, basso; abietto, sublime). Capire che cosa è il problema. La sorte – fortuna o sfortuna: chance o malchance – appare come ciò che getta il desiderio dell’uomo oltre i limiti dell’utile. Solitamente, la sorte è stata raffigurata (nella linea Eraclito → Nietzsche → Fink) nel gesto del dado lanciato da un ragazzetto. Sappiamo che dado deriva dal latino datum, gettato, lanciato; parimenti, caso deriva da casus, ossia cadere. Il dado è ciò che cade, ma una linea arrischiata e sottile lo approssima a un’altra parola dal doppio taglio: debito. Come un debito, infatti, scade: i termini francesi chance (fortuna, occasione, più banalmente: opportunità) e échéance (scadenza, termine), derivano entrambi dal latino cadentia. L’antica grafia francese caanche lo avvicina a excadere, da cui cadere, scadere, ma anche eccedere.

Alterna fortuna. Sul dispendio del “più minuto popolo”

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Numero 12 LUCK ottobre, 2014 - Autore:  Condividi

 

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