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Numero 14 – Festa I

Num°14 FESTIVAL I
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FESTA E TEMPO DELLA MEMORIA

EDITORIALE

Questo numero e il successivo, entrambi su Festa (Festa I e Festa II), sono dedicati a Ugo Perone, in occasione del suo settantesimo compleanno. Amici e colleghi di Ugo Perone hanno scelto di festeggiarlo nel modo della filosofia, con una riflessione sul concetto stesso di “festa”, sul suo significato oggi per noi. Qualche spirito risparmiatore potrebbe obiettare che un numero di rivista è come un regalo: uno solo basta ed avanza. Non son forse tempi di crisi? Eppure, non c’è vera festa senza Zugabe, dunque senza un’aggiunta, un bis, un supplemento. Ecco, quindi, i due numeri dedicati a un unico concetto.

La scelta del tema non è stata casuale, dal momento che il concetto di “festa” svolge un ruolo importante nel pensiero di Perone. In un articolo spesso citato nei saggi che seguono, Perone interpreta la coppia di concetti “ultimo”/“penultimo” – qual è stata pensata da D. Bonhoeffer – con quella di «festa-quotidianità». Come, per Bonhoeffer, Dio non è lì dove le capacità umane falliscono, ma «al centro del villaggio», così la piazza – che è il «simbolo del tempo festivo» – è il centro della città. Anzi, «è al tempo stesso centro della città e sua interruzione».

L’interruzione, di cui qui si tratta, è sì radicale, ma proprio per questo priva di ogni tratto nichilistico e fondamentalistico: «essa non distrugge il reale, ma inter-rompe la sua chiusa conclusività e gli dischiude una profondità inattesa». La festa, come centro della realtà, costituisce qualcosa come la forma della realtà, rappresenta ciò che nel reale è davvero reale (la realtà della realtà).

Per questo, la memoria – aggiunge Perone – è sempre intenzionata alla festa: «nella memoria noi ricordiamo sempre ciò che è festivo […], ricordiamo ciò che è degno di restare».

Consideriamo una festa concreta, per esempio un matrimonio. Per certi aspetti, essa non cambia nulla nella vita degli sposi. L’affidamento reciproco, che unisce i coniugi in matrimonio, è qualche cosa che non nasce in un giorno: nasce in una storia e si mette alla prova in una storia. Il giorno del matrimonio non è che un istante di questa storia, ma è un istante che – appunto ­– interrompe, per un attimo, questa storia. Per Perone, questa interruzione ha un senso profondo: si tratta del tentativo coraggioso degli sposi di considerare l’esperienza di reciproco amore e affidamento così forte e importante da meritare di essere festeggiata davanti a tutti.

È proprio questa quotidianità interrotta ciò che Perone definirebbe forse un “presente possibile”. L’intrico delle vie rappresenta in fondo il succedersi dei significati dell’esistenza, ciascuno dei quali basta a se stesso. L’interruzione dei significati non ha di mira la loro eliminazione, piuttosto la selezione di ciò che merita di restare, la dolorosa discriminazione di questo da quello che invece deve essere consegnato all’oblio.

L’interruzione scopre l’essenza, perché “essenza” è il nome filosofico di ciò che è stato (Ge-wesen), di quell’oggetto della memoria che è la realtà, il presente stesso, in ciò che ha di irrinunciabile ed essenziale per noi, al cospetto degli altri e di tutta la società.

Si potrebbe trovare provocatorio che Perone abbia scelto di pensare la festa nel quadro di una riflessione sull’ambivalenza della quotidianità. Come il bene, la festa – si potrebbe obiettare – è proprio il luogo in cui ogni ambivalenza è sospesa, il luogo di una purezza senz’onta di ambivalenza.

A prescindere dalla ineffettualità fenomenologica di una simile obiezione (basta pensare all’ambiguità di sensazioni che tutti proviamo nei “dí di festa” per rendersi conto che c’è un’ambiguità anche, se non addirittura soprattutto, della festa), la strategia di Perone sembra essere non tanto quella di contrapporre ambiguità e festa quanto quella di distinguere, nel quotidiano, una buona da una cattiva ambiguità.

Dipende insomma dal rapporto che istituiamo con la festa, «se noi esperiremo l’ambiguità che è contenuta nel tempo quotidiano come rivelativa multidimensionalità o come mascherante duplicità». L’interruzione dell’ambivalenza non è allora tanto la sua cassazione, quanto piuttosto la sua polarizzazione, la distinzione tra una ambivalenza (una quotidianità, una modernità…) senza speranza e una ambivalenza piena di promesse. La multidimensionalità del reale è, del resto, la variante felice di ciò che altrove esperiamo con sofferenza come contraddizione, mancanza labirintica di vie di uscita, ambiguità difettiva.

La quotidianità interrotta è sempre quotidianità, faticosa e contorta come sappiamo e distante dall’origine. Essa «si allontana dalla festa», come le vie dalla piazza. Ma la piazza, che interrompe le strade, sembra essere lì per ricordare che almeno qualcosa, in tutto questo cammino, ha pure nome di essenza, e dignità di restare. L’estrema resistenza per questo frammento di essere è il lavoro della memoria, e ogni festa in fondo è un memoriale.  

Gli allievi di Ugo Perone

Numero 14 – Festa I

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Numero 14 FESTIVAL I agosto, 2015 - Autore:  Condividi

 

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