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L’avvenimento teatrale come festa

Num°14 FESTIVAL I
Eloisa

Il critico d’arte, pubblicista e uomo di cultura Georg Fuchs (1868-1949) iniziò a rivolgere la sua attenzione al teatro a partire dal 1899. Dopo un intenso impegno a favore dell’arte pittorica, che lo vide coinvolto in prima persona nella Secessione di Monaco, egli ricevette l’incarico di partecipare alla costituzione della Künstlerkolonie di Darmstadt, chiamata in vita dal mecenate Ernst Ludwig, granduca d’Assia. Fuchs iniziò da quel momento, e proprio al volgere del secolo, a sistematizzare la sua famosa teoria teatrale, nota per lo più attraverso lo scritto Die Revolution des Theaters. In seno alla fucina dello Jugendstil e in collaborazione e accordo con altri artisti e architetti, primo fra tutti Peter Behrens, Georg Fuchs elaborò un pensiero su forma, stile e funzione del teatro, in cui rivendicava la necessità di una struttura teatrale completamente nuova. La rivoluzione che Fuchs chiedeva, entrata nell’immaginario della storia del teatro al suono del felice motto di «riteatralizzare il teatro», si fondava sulla proposta di creare una scena e un edificio teatrale alternativi. A partire dalle idee maturate in seno all’innovazione della pittura e dell’arte applicata, Fuchs chiedeva un luogo semplice e solenne, adatto alla celebrazione di un avvenimento festoso, quale doveva essere il teatro. Per farlo, si doveva abbandonare l’edificio teatrale convenzionale e crearne uno nuovo, progettato secondo le esigenze del “teatro del futuro”.

Il teatro convenzionale con i suoi fronzoli e ghirigori, fasullo erede dello sfarzo barocco, era un luogo di mera finzione, dedito alla ricerca di una facile quanto insopportabile verosimiglianza; la Guckkastenbühne, il palco a scatola ottica del teatro all’italiana, proponeva un’artificiale e illusoria ricostruzione del mondo reale, che appariva a Fuchs come il regno posticcio della cartapesta. Gli elementi costitutivi dello spazio scenico, ivi comprese le innovazioni tecniche, sfruttate fino all’esasperazione, non potevano che contenere un conglomerato disomogeneo, privo di un centro: «La macchina scenica, oggi al suo massimo sviluppo, e con essa il conseguente naturalismo, hanno portato la scena a scatola ottica ad absurdum. Siamo giunti alla fine della nostra saggezza. L’evoluzione del teatro convenzionale stesso ci ha dimostrato che tutto il teatro all’italiana con tanto di quinte e cieli, con i fondali prospettici e la scenografia mobile, con tanto di luce di ribalta e graticci è superfluo, che ci trasciniamo dietro un apparato che impedisce ogni dispiegamento di un’arte vera, moderna. Perciò: via i tiri! Via la luce di ribalta! Via la scena mobile, i disegni prospettici, i cieli, le quinte e i costumi ovattati! Via il palco a scatola ottica! Via le logge a teatro! Tutta questa pessima imitazione di mondo fatta di carta, fil di ferro, tela di iuta e fronzoli è matura per la sua fine!» (SdZ, p. 33; RdT, p. 53).

L’avvenimento teatrale come festa

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Numero 14 FESTIVAL I agosto, 2015 - Autore:  Condividi

 

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