
Tra i multiformi aspetti che caratterizzano la festa come fenomeno sociale e il festeggiare come tratto specifico degli esseri umani risalta per la sua peculiarità una funzione cui sono riconducibili le più svariate espressioni del “far festa”: di rappresentare una moratoria del quotidiano. Questa tesi, a prima vista non particolarmente originale come del resto riconosciuto da Marquard che la sviluppa nella sua “piccola filosofia della festa”, apre tuttavia uno scenario di riflessione non affatto scontato, il quale contempla il convertirsi della positività della festa – un evento che, anche se non sempre gioioso, comporta almeno in certa misura una pacifica sintonia con il mondo – nella negatività del suo opposto, la guerra, intesa anch’essa come una moratoria del quotidiano. Festeggiare la nascita di un bambino, prendere congedo dalle persone care, condividere la gioia di significativi avvenimenti esistenziali, celebrare collettivamente una ricorrenza nazionale e prima ancora onorare Dio in riti condivisi sono tutte manifestazioni di festa, in cui si declina la “posizionalità eccentrica” che per Plessner distingue l’uomo dagli altri esseri viventi. Unico tra questi, egli possiede la facoltà dell’autoriflessione, la capacità di assumere un punto di vista decentrato rispetto alla propria collocazione nello spazio, di distanziarsi prendendo posizione rispetto al flusso quotidiano della vita. Benché la festa celebrata pubblicamente non sia l’unica forma di “distacco” dell’uomo dal proprio quotidiano, per Marquard essa ne rappresenta emblematicamente l’interruzione, la sospensione, una moratoria appunto. Di qui l’esigenza di difendere la festa dall’invadenza della quotidianità, di distinguere festa e lavoro, e nel contempo e per converso di difendere il quotidiano dalla festa, allo scopo di preservare la festa da se stessa, di immunizzarla dalla sua possibile perversione, che consiste nel sostituire la festa alla quotidianità. Senza una ritmica alternanza tra festa e quotidianità è precluso l’esercizio dell’eccentricità. La festa è insidiata non solo dalla totale quotidianità, ma anche dalla festa totale senza quotidianità. Una festa totale si autoelide: diventa una moratoria totale del quotidiano al pari della guerra, in cui festa e quotidianità sono entrambe sospese da un permanente “stato d’eccezione” (Ausnahmezustand).
La locuzione “moratoria del quotidiano” si deve a Manès Sperber che, con riferimento solo indiretto alla festa, connota la guerra come un generale sovvertimento dell’ordine quotidiano, un’agognata fuga, non di rado intrisa di euforia, da una quotidianità “tirannica”, monotona, percepita come asservimento e inibizione dell’energia vitale. Del connubio festa-guerra vi sono, com’è noto, innumerevoli testimonianze letterarie. Per limitarsi ad alcune suggestioni relative al periodo delle due guerre mondiali – cui Sperber fa riferimento –, rivelatori sono in proposito i diari di Georg Heym, in cui la guerra è agognata perché generatrice di senso di contro a «una pace pigra, untuosa e sordida come lucido colloso su vecchi mobili». Della gioia di mettersi in marcia in «una festa eroica» parla nel Doctor Faustus di Thomas Mann l’umanista Zeitblom, l’ubriacatura della guerra foriera di grandezza, forza e Feierlichkeit è descritta da Ernst Jünger all’inizio di Nelle tempeste d’acciaio. Come evidenziato tra gli altri da Robert Musil, il lessico della Grande Guerra abbonda di terminologia religiosa, la guerra stessa diventa un’esperienza religiosa pervasa da un forte sentimento di comunanza, anzi di fratellanza (Bruderschaft), in quella che anche Hesse descrive come un’«ebbrezza sacra» perché scaturita dalla visione del «volto del destino». Se le fonti letterarie ben trasmettono, anche a prescindere da noti aspetti della psicologia di massa, il fervore patriottico e l’entusiasmo della mobilitazione che hanno condotto al fronte le giovani generazioni, non va comunque sottaciuto il fatto che lo “spirito del 1914”, perlomeno in Germania, ha coinvolto soprattutto i ceti più elevati e gli intellettuali oscurando i sentimenti contrastanti di gran parte della popolazione e delle voci dissenzienti.
La festa. Tra guerra e fraternità