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Festa errante

Num°15 FESTIVAL II
Marassi

All’inizio del secolo scorso James Frazer, nel Ramo d’oro, aveva proposto un’analisi delle incrinature del tempo storico in cui i periodi di festa (mi riferisco in particolare alle sue ricerche sui Saturnali) rappresentano delle sospensioni della quotidianità, che scandiscono come punti fissi – riguardanti l’esistenza, il lavoro, la continuità dei rapporti sociali – il passare inarrestabile del tempo, il suo meccanico trascinare sempre oltre uomini, animali, piante, stagioni, calendari, imperi. Negli stessi anni in cui veniva pubblicata l’opera di Frazer, Totem e tabù di Freud associava due elementi apparentemente in netta contrapposizione. Da una parte si affermava che la festa è il superamento autorizzato di un limite fissato da sempre, e dall’altra parte si sosteneva che tale eccedenza è possibile solo a partire dalla trasgressione di una proibizione. A partire da queste opere, in cui emergono una quantità impressionante di concetti, variamente riletti e riadattati alle più diverse esigenze negli anni successivi da parte degli interpreti, è emerso un filone di ricerche più o meno omogeneo su cui vorrei richiamare l’attenzione per indicare per contrasto un’altra linea interpretativa.

A seguito di queste rilevanti alzate d’ingegno si è sviluppata nel corso del secolo una corrente di interpretazioni che culmina, paradossalmente, in una banalizzazione dell’evento festa, il quale si riduce infine soltanto a un’astrazione ideologicamente asservita, soggiogata, domata. Di certo responsabili di questa deriva riduzionista non sono studiosi come Roger Caillois, Georges Bataille, Max Gluckman, Mary Douglas, Victor Turner. Che cosa accomuna invece le approfondite e distanziate analisi di questi pensatori? Il fatto che la festa introduce nella continuità apparente del tempo un limite reale calendarizzato, una cesura che, mediante il rito, consente una ribellione controllata che eccede la quotidianità e non raffigura, non finge, bensì fa vedere – proprio vedere in termini reali – “qualcosa che va oltre” questo mondo, il quale è invece normalmente costituito da divieti, obblighi, norme, regole, assetti, consuetudini. Mi sembra che Bataille abbia colto in modo esemplare questo aspetto incontestabile della festa: «Il mondo profano è quello dei divieti. Il mondo sacro si apre a trasgressioni limitate. È il mondo della festa, dei sovrani, degli dèi».

Ecco, a mio sommesso avviso, a questa seria e legittima ricostruzione dell’“evento festa” è poi seguito un modo di pensare diffuso, recitato ideologicamente e scientificamente indimostrato, che interpreta il passaggio dal divieto all’eccesso, dalla razionalità ordinata alla sua trasgressione, come operato da una parola d’ordine che ormai dilaga in ogni campo, anche nella finanza creativa, e che si chiama “desiderio”. Dopo Lacan tutti liberi! Ognuno – dal più improbabile venditore di vacanze premio all’intellettuale con maglione nero proclamante narcisisticamente il suo prezioso verbo – avrà sentito pronunciare con ardita concentrazione cerebrale la magica parola “desiderio”, alla quale viene assegnato il destino semantico della liberazione, della catarsi, dell’affermazione della democrazia e infine anche della soluzione della fame nel mondo. A questi fagocitanti e prezzolati intellettuali della festa in quanto espressione collettiva del desiderio mai sazio di cose si può opporre lo skandalon come «il desiderio stesso, sempre più ossessionato dagli ostacoli che suscita, e moltiplica intorno a sé».

Festa errante

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Numero 15 FESTIVAL II ottobre, 2015 - Autore:  Condividi

 

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