
Nella scienza penalistica europea, il problema del reato (o tentativo) impossibile fa irruzione, nel 1808, attraverso la seguente riflessione di Feuerbach: «Poiché la punibilità civile è impossibile in assenza di una condotta contrastante con il diritto esterno, una condotta è (esternamente) antigiuridica solo quando lede o minaccia il diritto. La sola intenzione antigiuridica non conferisce ad alcuna condotta il carattere dell’antigiuridicità. Chi parla del reato di dazione di un veleno erroneamente ritenuto tale, del tentativo di omicidio di un cadavere e così via, confonde la sfera morale con quella giuridica, i fondamenti del diritto preventivo di polizia con il diritto punitivo e deve riconoscere come colpevole di un tentativo punibile di omicidio anche quel bavarese, il quale si recò in pellegrinaggio in una chiesetta a pregare per la morte del suo vicino».
Questa concezione del reato come fatto lesivo, di danno o di pericolo, può qualificarsi come tipicamente illuministica. Una sua enunciazione si rinviene infatti già in Beccaria, secondo cui l’assunto che il «danno della società» costituisca la «vera misura dei delitti, […] è una di quelle palpabili verità che, quantunque non abbian bisogno né di quadranti, né di telescopi per essere scoperte, ma sieno alla portata di ciascun mediocre intelletto, pure per una maravigliosa combinazione di circostanze non sono con decisa sicurezza conosciute che da alcuni pochi pensatori, uomini d’ogni nazione e d’ogni secolo». E allo stesso modo, passando dal piano filosofico a uno più tecnico, il medesimo pensiero si rinviene, tra gli altri, in Romagnosi: «in que’ delitti, ne’ quali l’effetto ingiustamente nocivo è di un impossibile conseguimento, l’attentato deve calcolarsi per nulla. […] Perciò ragionando dell’esecuzione del delitto, e dell’attentato, che n’è parte, noi parliamo di una esecuzione di sua natura efficace, ed atta ad ottenere il danno ingiusto altrui».
Delitto tentato e reato impossibile: i confini dell’azione punibile