
Johann Gottlieb Fichte è a ragione considerato un filosofo dell’azione. La sua filosofia è una filosofia dell’azione almeno sotto cinque punti di vista, strettamente interconnessi e reciprocamente implicantisi.
(1) È una filosofia metafisico-trascendentale dell’atto, perché azione, o meglio attività spontanea, o agire in atto (Tathandlung), sono nella loro essenza (nella fase jenese del suo pensiero: 1793-1799) tanto l’io trascendentale, come fondamento dell’esperienza e del sapere, quanto (nel periodo post-jenese: 1800-1814) l’assoluto (il Leben: “vivere”), che la Seconda esposizione della Dottrina della Scienza del 1804 descrive come esse in mero actu.
(2) Quella di Fichte può poi essere definita come una filosofia performativo-trascendentale. Infatti, la stessa dottrina della scienza è da considerarsi in termini operativistici, performativi. La filosofia non può essere ridotta a una serie di formule descrittive della realtà, da apprendere e ripetere. La dottrina della scienza, come tale, non può essere scritta: la “lettera” della dottrina della scienza è un fatto di cui dev’essere riattivata la genesi mediante il pensare da sé (Selbstdenken) del discente. Dev’essere dunque intesa nei termini di azioni, di operazioni che la riflessione, per potersi collocare all’altezza del pensiero trascendentale, deve compiere, su invito del filosofo (invito paradigmaticamente esplicito nell’incipit della Dottrina della scienza nova methodo, le cui lezioni furono tenute da Fichte tra il 1796 e il 1799).
(3) Ne deriva l’esigenza di elaborare una filosofia antropologico-trascendentale dell’azione che, considerando l’agire come la qualità costitutiva dell’essere umano, chiarisca come conciliare l’effettiva possibilità ed efficacia dell’azione dell’uomo nel mondo con la sua libertà.
(4) La riflessione antropologico-trascendentale sull’azione conduce quindi a un’etica dell’azione, che considera l’agire nel mondo, con gli altri e sulla natura il dovere dell’essere umano, in quanto realizzazione della sua essenza. L’uomo deve agire nella società, per realizzare se stesso, ovvero la propria autonomia, che coincide con l’autonomia della ragione in generale, ed evitare la pigrizia, che per Fichte è il «male radicale».
(5) Perciò, infine, come Fichte sosterrà esplicitamente a partire dal 1800, la stessa dottrina della scienza (Wissenschaftslehre) è una dottrina della saggezza (Weisheitslehre), in quanto, per non restare lettera morta, il sapere deve farsi azione. L’esito dell’autocomprensione del sapere che è la dottrina della scienza è perciò un invito alla saggezza (Weisheit), ovvero a riunificare il “sapere” con la “vita”.
Freude an dem Tun. Il sentimento dell’agire nella filosofia di Fichte.