
Sulla questione del significato dell’azione, e della volontà come organo spirituale del futuro, Hannah Arendt ha lasciato un’impronta di immenso valore che è a mio avviso percepibile attraverso due vie di accesso al tema, tra altre possibili, qui preferite per buone ragioni. Si tratterà di cogliere alcuni nessi interni all’opera arendtiana che sono in ogni modo la sostanza di un pensiero sempre in movimento, spontaneo come quell’agire (letteratura, poesia, giudizio politico) che costruisce modelli piuttosto che seguirne timidamente le tracce.
La prima delle strade da percorrere riguarda la presenza incisiva della tradizione cristiana in alcuni importanti luoghi testuali, per lo più relativi alla scoperta del mondo interiore, alla libertà del volere, alla coscienza che è responsabilità, vere e proprie ancore di salvezza per l’ineffabile mistero dell’individualità umana. La seconda riguarda il frequente ricorso a metafore e immagini tratte dalla tradizione letteraria ebraica, che si rivelano particolarmente illuminanti nella costruzione di significati che in ogni caso brillerebbero per assenza nella perlustrazione oggettiva del mondo reale.
Azione e “buona volontà” in Hannah Arendt