
Spesso prima di sviluppare argomenti a proposito del tema che devo trattare verifico nel dizionario il senso comunemente ammesso delle sue parole chiave. L’ho fatto per la parola “grazia” e sono stata anzitutto sorpresa dalla molteplicità di significati corrispondenti a questa parola. Vanno dal più fisico al più metafisico, pur passando per il politico e il sociale. Se la parola “grazia” sembra, in un primo tempo, riferirsi a un aiuto di Dio stesso, essa indica, in un secondo momento, l’incanto dovuto a delle forme o movimenti corporei, quindi a ciò che, della natura, specialmente quella della donna, ci attrae, anche a un livello carnale: la sua dolcezza ha della grazia, i suoi gesti sono graziosi come lo è il suo giovanile abbandono. Non si tratta soltanto di belle forme, qualcosa di più interviene che ci commuove in un modo differente. Già siamo passati dai favori che la bontà di Dio talvolta ci accorda al risveglio del desiderio che le attrattive di un corpo, in particolare un corpo femminile, operano, un desiderio che potrebbe essere accolto come una sorta di grazia per proseguire sul nostro cammino invece di considerarlo come una tentazione per scappare dalla grazia.
Tra questi apparenti estremi contrasti troviamo usi politici quali la grazia come dispensa da un debito accordata da un giudice, o almeno quella di una dilazione nel pagamento, o ancora la grazia consentita a un condannato dal potere esecutivo, la domanda di grazia, l’amnistia, ma anche il colpo di grazia che mette fine alle sofferenze di un suppliziato. A livello sociale esistono molte formule di cortesia di cui la più usata è la semplice parola: grazie.
Mi sono chiesta quale significato unisca tutti questi sensi, tra i quali ne ho citati soltanto alcuni. Mi pare che si tratti sempre di una relazione tra due soggetti, o almeno due esseri viventi – per esempio un fiore può avere della grazia, come anche certi animali –, una relazione che accade senza la mediazione di un oggetto, una relazione positiva a patto che esista una forma di reciprocità, e anche una relazione che concerne il nostro essere globale e non un aspetto solo di questo. Una relazione che in un modo o in un altro sottende tutte le altre relazioni, che si tratti dell’amore, del desiderio, del perdono, della riconoscenza, della domanda, etc., e che ha a che fare con il toccare – un toccare più fisico o metafisico, meglio trascendentale, attraverso il quale due persone o esseri viventi sono legati in un modo misteriosamente radicale ma che sfugge alla nostra maniera usuale di riflettere, di decidere, di agire in modo conscio. C’è, la cosa esiste, ma forse come una sopravvivenza di uno stato anteriore alla nostra esistenza umana che sussiste ma da cui ci siamo allontanati a tal punto che è diventato estraneo a noi e non può accadere che mediante un fenomeno straordinario, aldilà della nostra vita e delle nostre possibilità umane. Qualcosa nondimeno di cui abbiamo oggi più che mai bisogno per potere riannodarci con il nostro divenire umano e proseguirlo.
Il toccare della grazia