
In questo studio, intendo presentare in modo sintetico le tracce dello sviluppo dottrinale che ha portato, nella tradizione filosofica platonica antica, al divorzio concettuale tra charis e divinità femminile.
Prima di riflettere sull’incanto della bellezza, il popolo greco lo ha descritto identificandolo nel gruppo inscindibile delle tre Cariti, figlie di Zeus: Eufrosyne è la bellezza nell’aspetto di allegria, gioia, giubilo; Talia è la bellezza come fioritura e abbondanza e Aglaia incarna la bellezza nel senso dello splendore, non separato dalla forma sensibile. Charis, infatti, in greco ha un valore sensuale. Ausiliari di Eros e di Afrodite (facevano parte del suo corteo), le Cariti erano altresì compagne delle Muse e si associavano ai banchetti degli dèi. Eros, da parte sua, presenterà indubbi collegamenti con lo splendore e la luce degli occhi.
Il mito o l’immagine assembla sistemicamente significati che poi la filosofia, o la ragione discorsiva, scompone in vari argomenti, il cui numero è considerevole (eros, donna, corpo, bellezza, sensualità, solo per citarne alcuni). Per seguire tale sviluppo, propongo di lasciarci accompagnare dall’immagine della rifrazione della luce in un prisma. Nella rifrazione prismatica, infatti, la luce non solo si scompone, si rifrange, ma prima di ricongiungersi in parziali o definitive gamme di colori, subisce anche assorbimenti e trasformazioni, nel nostro caso, smarrimenti di tematiche e slittamenti di significato.
In principio era Aglaia: storia del divorzio tra charis e divinità nella filosofia (tardo)antica