
Il contributo è dedicato alla relazione fra Chesed (חֶסֶד), responsabilità e teurgìa (pratica sapienziale) in alcune fonti della Kabbalah. In esso vengono delineate e poste in relazione le seguenti tesi:
a) che l’ebraico, la lingua santa per i credenti del primo fra “i popoli del Libro”, chiamata loshn kodesh (koydesh) in yiddish, sia stata intesa ab origine quale tessitura lessicale e semantica del mondo, come signum e instrumentum creativo di rango sacrale;
b) che essa sia stata il veicolo della temperie culturale in cui è germogliata e si è irrobustita l’esegesi rabbinica dei primi secoli dell’Era Volgare; tale esegesi a sua volta ha avuto una eccezionale pregnanza simbolica ed esercitato autorevolezza interpretativa anche rispetto ai secoli successivi, quelli in cui è nata la Kabbalah in senso stretto. Si intende inoltre affermare che:
c) tale progetto unitario sia stato un programma insieme teoretico e pratico, pensato come pervasivo rispetto a tutti i gradi della realtà. Solo grazie a tale patrimonio potè nascere l’idea che il cammino, di necessità iniziatico, fosse una interconnessione molto fitta di meditazioni (teosofia) e di pratiche sapienziali (teurgìa) rivolte a disvelare e a “mettere in esercizio” il simbolismo occulto che si trova racchiuso nella Torah, Libro increato e Nome divino a un tempo; questa viene pertanto analizzata in uno dei suoi molteplici significati, quello che connette all’intervento della Grazia (Chesed), promanante dal livello superiore dell’ordine cosmico, le pratiche teurgiche umane di attivazione delle sfere inferiori del medesimo.
Grazia, responsabilità e teurgia in alcuni testi kabbalistici