
CHARME E CHANCE
EDITORIALE
Nella grazia c’è tutto e ancora di più. È il sorprendente. Ma non il perturbante. Accade infatti in un tempo che è il suo – il tempo favorevole – manifestandosi all’improvviso. Stupisce ma non spaventa, perché la conseguenza della sua manifestazione è sempre un’aggiunta di bene, un incremento nel positivo, cui corrisponde il sentimento di piacere e di gioia. Quando accade, essa non toglie nulla, aggiunge, dona, dà. Sorprende perché supera anche il desiderio, attraverso la donazione dell’inatteso, e così ottiene la felicità possibile, in quegli accadimenti che si sono rivelati maggiori delle speranze. Si libera in tal caso un’eccedenza e da lì la gioia appagata della gratitudine.
L’accadimento accidentale, che sposta la rotta e la traiettoria degli eventi, conducendo alla scoperta di ciò che nemmeno era cercato, si compone talora con una sovrabbondanza compresa come segnale di favore. Se da fortuito l’accidente si fa fortunato, assume i contorni della grazia, la quale si mostra in quanto opera; essa funziona operativamente, fa essere. Questo vale alla lettera, cioè fa sì che l’essere sia. Agisce prima, propriamente crea, oppure, il che non è da meno, trasforma. La trasfigurazione, messa in opera dalla grazia, riguarda la trasformazione del medesimo, la sua più autentica ripresa, non la metamorfosi in altro da sé.
L’operare con questo stile – con grazia –, nelle relazioni e nelle produzioni, rende visibile l’essenziale. Di solito ci si accorge che l’essenziale è ciò che manca. Si potrebbe subito concluderne, almeno tra filosofi, che ovviamente è così, perché ciò che radicalmente manca è l’origine. Eppure la grazia riesce, nel presente dato, a far scaturire imprevedibilmente ciò che neppure sembrava mancasse, così che alla grazia segue una contentezza superiore alle attese. Donando l’essenziale, essa supera d’un colpo il necessario e il superfluo, dunque non si riduce mai né al bisogno, né all’ornamento. Il possibile – per grazia – si fa reale, nell’indipendenza sia dall’utile, sia dall’irrilevante.
S’instaura allora una logica sconcertante, eppure subito persuasiva, quella del dono (la grazia, per antonomasia). In una tale economia domina la munificenza, vale la dismisura dell’inesauribile, mentre è bandito il calcolo o il rendiconto. Questa straordinaria economia influisce anche sulla giurisprudenza e le due discipline, sotto l’egida della grazia, ragionano nei termini della generosità e dell’equità, conformi all’eccezione della singolarità, oltre i limiti della mera giustizia. Anche l’estetica si spinge con la grazia al di là della misura della bellezza.
La radiosità di un soggetto (di un fenomeno) pieno di grazia affascina, ha charme. E l’azione di grazia ha un tempo, la chance della sua riuscita. Charme e chance si danno dunque nell’intreccio d’incanto e opportunità. La loro irruzione è indeducibile, imponderabile e tuttavia, per essere colta e non andare perduta, esige una preparazione. L’esercizio verso la grazia esclude però l’ascesi, quale rinuncia sacrificale, configurandosi diversamente, come formazione umanizzante che allevia e aggiunge, anziché togliere.
La dimensione inaugurata dalla grazia spalanca uno spazio d’invenzione, dove interagiscono passività e attività: nel passivo della grazia si declinano le azioni proprie del soggetto, che si scopre responsabile, libero attore e insieme tramite. A questo soggetto, che si libra nel dinamismo della grazia, basta la natura per stare in sé, senza cadute narcisistiche, primo osservatore della magnificenza che lo investe. Non a caso, tanto in antico, quanto nel moderno, la grazia ha espresso la condizione umana migliore, uno stato di serena beatitudine, equilibrio da bilanciare sempre meglio tra sensibilità e ragione; ha significato una via aperta nei sensi, l’idea di umanità cui approssimarsi o di umanizzazione che procede ad infinitum sino a farsi immagine divina.
Pensata come immagine mobile di necessità e libertà, la grazia conserva nel corpo lo strumento per mostrare la sua capacità incantatrice e donante. Secondo il mito, la grazia è la cintura di Venere, che può ottenere ogni cosa; “cintura di Venere” è anche il nome astronomico del bagliore rosato dell’alba o del tramonto, un processo irradiante generalmente interpretato come un presagio fausto. Ovunque traluce così la polisemia della grazia, come aura di primavera, come un’imperdibile chance, come ciò che più conta.
Questo pensiero chiama in causa l’educazione della sensibilità intera e veicola forti istanze politiche, trasformative. A questa idea è stato recentemente dedicato un convegno internazionale dal titolo Charis kairós. La grazia e l’occasione (Università di Trieste, Dipartimento di Studi Umanistici, 15-16 ottobre 2015). Il presente numero della rivista graziosamente raccoglie i testi preparati per quel convegno e ne aggiunge altri, nella forma accelerata e aperta di una pubblicazione telematica. Viene così data ampia risonanza a una parola a tutta prima fuori corso, ma dalla storia imponente e pervasiva a ogni livello del linguaggio e del sapere.
Numero 17 – Grazia