
LA SERIETÀ NORMA DI SÉ E DEL FATUO
EDITORIALE
La vera serietà sembra trovarsi sempre altrove rispetto ai suoi luoghi naturali, quindi non dove la si invoca, non dove compare nel ruolo di ammonitrice, mai dove ci opprime con il dito alzato, l’abito costumato, l’espressione corrucciata. I processi di emancipazione, individuali o collettivi che siano, colpiscono tipicamente alcuni riferimenti concettuali, e la serietà è fra questi.
L’intuizione, da cui siamo partiti, è che questa crisi concettuale della serietà sia uno dei temi cruciali ed emblematici del nostro momento storico. Per crisi concettuale si intende qui la condizione di estrema vaghezza nella quale versa un concetto che avrebbe invece il compito di educare con precisione al tipo di rispetto che è dovuto alla realtà in una sua specifica manifestazione.
La serietà nel suo concetto impone la fatica di un’armonizzazione fra un lato oggettivo e un lato soggettivo. Il lato oggettivo è il qualcosa, la situazione attuale o potenziale, che comunica a chi è nella sua orbita – il lato soggettivo – la necessità di una risposta appropriata. Nessun insieme di fatti può comunicare alcunché, tantomeno una necessità e un’appropriatezza, quindi la comunicazione avviene fra un’idea che la realtà incorpora e rivela e i soggetti implicati. La risposta può essere la semplice accoglienza oppure un atto, un gesto, una complessa strategia, ma ciò che non può mancarle è l’attenzione, il riconoscimento, il rispetto. E quest’ultimo deve essere non generico e non formale, determinato qualitativamente.
Il minuto di silenzio, l’onore delle armi, la bandiera a mezz’asta, sono esempi di quest’arte dell’armonizzazione fra un’oggettività seria e un gesto che segnala, tutela, non lascia scorrere via la presenza di un’idea nelle cose, le rende omaggio. In questi casi la risposta è simbolica e rientra in un repertorio culturale ben noto e condiviso, ma si tratta di “grandi occasioni” e di simboli, entrambi caratterizzati da una resistenza al tempo fuori dal comune.
Un’altra famiglia di esempi in cui una realtà inequivocabilmente seria invoca e in genere ottiene una risposta compatibilmente seria è quella delle “grandi paure”. Si dice che le comunità, o almeno alcuni individui, si scoprano solidali, coraggiosi, tenaci, dignitosi davanti alle catastrofi. Poniamo che sia vero: si tratta di reazioni serie, qualitativamente armonizzate con una determinata qualità della situazione. Così come lo sdegno nei confronti di comportamenti oltraggiosi, che vengono letti come tali in virtù di una certa idea di serietà necessaria – la satira, lo sciacallaggio, la corruzione, la fatuità –, segnala che si è in grado di individuare le difformità rispetto alla sola risposta corretta. E questo accade indipendentemente dalla tempra morale che ciascuno rivela nella pratica.
Questa capacità delle esperienze estreme di estrarre risorse morali dagli esseri umani è la prova di un residuo irriducibile della virtù civile forse più comprensiva che possiamo concepire. E più ancora dell’universalità del suo concetto, giacché almeno un punto sembra indubitabile: che siamo in grado di vedere la serietà, di distinguerla, cioè di concepirla. E che nel momento in cui la concepiamo la collochiamo in alto, isolandola come qualcosa di sacro.
Spostando l’attenzione dagli stati d’eccezione a quelli normali il paesaggio cambia tuttavia radicalmente. Il senso comune sembra aver ancora a disposizione solo un sistema di emergenza per il riconoscimento della serietà oggettiva e il dosaggio del rispetto soggettivo, che non s’innesca per l’ordinaria amministrazione. Eppure sarebbe sufficiente consentire allo stesso concetto, con la sua ricca e preziosa articolazione, di intervenire in tutti i casi, basterebbe permettere che ogni situazione si riveli nella luce di quel concetto di serietà che siamo in grado di concepire.
Della serietà si potrebbe dire che è norma di sé e del fatuo, come Spinoza pensava della verità, norma di sé e del falso. Nella sua autoevidenza positiva e incarnata è anche immediatamente efficace, perché può chiamare in risposta energie serie, separare da sé la falsa serietà così come la fatuità.
Ciò che si svela della serietà nelle sue rare epifanie è la sua inequivocabilità a posteriori, che accostata al dato della sua irrilevanza nelle vicende correnti pone un problema filosofico e parecchi problemi sociali.
Il problema filosofico è che si è interrotto il rapporto di fiducia fra il pensiero e le idee vere, che si manifestano ugualmente ma senza conseguenze, nell’indifferenza generale. E che questo non entra in conflitto con il fatto che implicitamente se ne riconosca l’universalità e la necessità di quando in quando. L’accettazione supina della contingenza dei giudizi e dei criteri convive tranquillamente con una rozza e irriflessa attrezzatura di valori forti e dirimenti. Dogmatismo e relativismo abitano sotto lo stesso tetto, si dividono il lavoro senza che nessuno l’abbia deciso: il primo dà luogo qua e là a salutari e qualche volta violenti attimi di purificazione e di limpida indignazione, l’altro si occupa del lavoro quotidiano di offuscamento del giudizio. Per il primo va tutto male, per il secondo va tutto bene.
Si è atrofizzato lo sforzo di mantenere aperto il canale dell’ascolto e la funzione del riconoscimento dell’idea mentre le cose accadono, nella realtà. Lo sguardo si distoglie dalle idee e si concentra sulle cose, mute e mutevoli, semplicemente reali, né vere né false, né serie né fatue, né buone né cattive, né giuste né ingiuste, e sul loro referente nel senso interno, l’opinione. Pensare che cosa c’è di serio in qualcosa che si sta vivendo, e quindi che cosa si deve fare per corrispondere alla domanda di serietà che viene dalla realtà è un atto di attenzione e di ricerca, che non si fonda su un valore estratto da un vecchio e polveroso codice degli inviolabili. Non coltivare questa competenza equivale a perdere la voglia e la capacità di negoziare su qualunque argomento. Pensare è negoziare, e negoziare è pensare, ed entrambi hanno a che fare con la vera serietà, cioè con la serietà nel suo concetto.
Luciana Regina
Numero 18 – Serietà