PENSARE IL LAVORO
EDITORIALE
“Spaziofilosofico” inizia le pubblicazioni nel gennaio 2011 con un numero dedicato al “Lavoro”.
Un tempo sarebbe stato normale che una rivista di filosofia se ne occupasse; oggi – crediamo – dovrebbe tornare a esserlo di nuovo.
Nel 1981 l’Editore Marzorati poteva pubblicare una Storia antologica della Filosofia del lavoro per la collana «Grandi Opere», in 7 volumi e 4.500 pagine, a cura di Antimo Negri. Per lungo tempo difficilmente un’opera analoga avrebbe potuto vedere la luce. A trent’anni di distanza, vi sono però segnali cospicui di cambiamento. Una filosofia del lavoro libera da pregiudiziali ideologiche, ma seria e impegnata come il suo oggetto impone che sia, può tornare di attualità.
Nell’epoca della globalizzazione, e – in Italia – all’indomani degli accordi di Pomigliano e Mirafiori, c’è più che mai necessità di pensare il lavoro. “Spaziofilosofico” tenta di farlo, come sarà suo costume, incrociando i ferri della teoria filosofica più rigorosa (e perché no, della speculazione) e della politica; delle pratiche (intese come disseminazione della competenza pensiero nel mondo) e della storiografia filosofica.
Con ciò, “Spaziofilosofico” tenta un esperimento difficile, inedito, che ha bisogno dell’aiuto di molti: l’esperimento cioè della teoreticità possibile, o della teoreticità per tutti. (Lo strumento open access è parte integrante di questo esperimento).
Non si tratta di divulgazione. A nessuno di coloro che contribuiranno con un articolo verrà chiesto di semplificare. Noi non crediamo nelle semplificazioni, crediamo nella rilevanza sociale e politica del pensiero, che – per essere rilevante – non deve affatto smettere di essere pensiero rigoroso, e – per essere pensiero rigoroso – non deve affatto scontare l’irrilevanza.
L’opera di Antimo Negri era già – a ben vedere – una campana a morto. Se si preferisce, una specie di arca di Noè, che raccoglieva le specie più nobili della filosofia del lavoro dopo che il diluvio aveva spazzato via la stagione dei conflitti sociali. Non era del resto l’opera di un teorico, ma di uno storico, all’inizio del decennio craxiano.
In quello stesso 1981 un’altra opera, molto più breve, e piuttosto imbarazzante, rilanciava la questione del “lavoro” come problema del giorno, non come memoria storica. Si tratta della considerazione inattuale di Giovanni Paolo II, Laborem Exercens.
Nella lettera enciclica, il papa metteva in evidenza «il fatto che il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo» (§ 3). Criticando gli abusi della cosiddetta accumulazione originaria, il pontefice rilevava che «l’errore del primitivo capitalismo può ripetersi dovunque l’uomo venga trattato, in un certo qual modo, al pari di tutto il complesso dei mezzi materiali di produzione, come uno strumento e non invece secondo la vera dignità del suo lavoro» (§ 7). E insisteva sulla necessità di «ricordare un principio sempre insegnato dalla Chiesa. Questo è il principio della priorità del “lavoro” nei confronti del “capitale”» (§ 12). Quanto alla proprietà dei mezzi di produzione, Wojtyla rilevava che «essi non possono essere posseduti contro il lavoro, non possono essere neppure posseduti per possedere, perché l’unico titolo legittimo al loro possesso – e ciò sia nella forma della proprietà privata, sia in quella della proprietà pubblica o collettiva – è che essi servano al lavoro» (§ 14). Insomma – osservava – «continua a rimanere inaccettabile la posizione del “rigido” capitalismo, il quale difende l’esclusivo diritto della proprietà privata dei mezzi di produzione come un “dogma” intoccabile nella vita economica» (§ 14). In conclusione, Wojtyla affermava che il lavoro «entra nell’opera della salvezza» (§ 24), non senza avere prima martellato insistententemente su un punto: «Ancora una volta va ripetuto il fondamentale principio: la gerarchia dei valori, il senso profondo del lavoro stesso esigono che sia il capitale in funzione del lavoro, e non il lavoro in funzione del capitale» (§ 23).
A trent’anni di distanza, queste parole non sembrano avere perduto di smalto. Ugualmente inattuali, e proprio per questo tanto più gravide di futuro, restano le prime parole della costituzione italiana: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» (art. 1). Il nesso tra democrazia e lavoro è oggi sotto attacco: «Il legame tra lavoro e democrazia […] si è fortemente eroso». Com’è stato osservato, «proprio nel lavoro moderno – così disprezzato e reso precario – sta il fattore principale di contraddizione con il dominio di una oligarchia finanziaria che presume di governare il mondo avendo rotto il vecchio compromesso tra capitalismo e democrazia». Questo è tanto più preoccupante in quanto, se c’è una leva capace di sollevare il mondo sociale, questa è proprio il lavoro umano. Come afferma Mario Dogliani nella sezione Politiche di questo numero, «i riferimenti costituzionali al lavoro sono dei divieti nei confronti di possibili tendenze “repressive” del lavoro, tendenze percepite come sempre latenti ed attualmente pericolose». La costituzione repubblicana mostra un’«acuta consapevolezza della persistenza di tendenze che, mirando allo schiacciamento del lavoro salariato, si sono dimostrate distruttrici dell’intero ordine sociale». Pertanto – conclude Dogliani –«una visione non irenica, non edulcorata, della costituzione deve saper leggere nelle sue parole non solo promesse per il futuro, ma richiami a rischi gravi, attuali e la cui pericolosità può sempre tornare a manifestarsi in forma virulenta». Forze politiche inconsapevoli di questi rischi possono condurre al disastro.
Gli articoli raccolti nel numero 01 di “Spaziofilosofico”, si affaticano intorno a questi nessi. Si tratta – in molti casi – di risemantizzare il concetto marxiano di “lavoro alienato”, che, come un pianeta maggiore, continua a imporre la sua forza gravitazionale, attraendo inesorabilmente le riflessioni filosofiche sull’argomento e costringendole a una misura.
Mentre – nella sezione Pratiche – la filosofia entra direttamente nelle organizzazioni di lavoro, nella sezione Teoria viene riaperto il cantiere fondamentale di una antropologia e di una ontologia del lavoro; attraverso l’analisi di momenti classici e contemporanei della filosofia del lavoro, gli Studi rilanciano infine questioni teoriche decisive.
Abbiamo alle spalle più di due anni pesantissimi per le lavoratrici e i lavoratori. Questo piccolo contributo è per loro.
Numero 01 – Lavoro
giuseppe cantillo
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Trovo molto significativa la nascita di questa rivista online con un numero dedicato al lavoro, che è certamente uno dei concetti fondamentali per la ridefinizione – in un’epoca di grande crisi – dell’essenza dell’uomo e del mondo umano. Resta paradigmatica la connessione Arbeit /Geist suggerita da Hegel con le sue ricadute nell’etica pubblica. Vivissimi complimenti Giuseppe Cantillo
Filosofia del lavoro e lavoro per i filosofi
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[...] rivista on line spaziofilosofico esordisce con un numero dedicato al lavoro. E’ uno dei tanti segni del bisogno di una [...]