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Il lavoro nella ricchezza dell’umano

Num°01 WORK

Nel dibattito comune i discorsi sul lavoro vanno spesso a finire in un confuso elogio della fatica umana oppure nel secco rifiuto della sua imposizione. Il lavoro viene quindi a essere identificato con l’intera condizione umana oppure gli viene contrapposta la furbizia con la quale a esso ci si sottrae. L’uomo lavoratore degenera così in uomo ‘fannullone’.  Una riflessione teorica sul lavoro, che non si adagi nei luoghi comuni, deve fare i conti sia con la tendenza a svalutare la sua importanza sia con quella a farne qualcosa di assoluto. Per soddisfare questa duplice esigenza faremo anche riferimento agli autori che maggiormente hanno contribuito a tracciare il profilo del lavoro. Dal confronto critico con le loro tesi scaturirà la proposta di riconsiderare il lavoro nel contesto di una ricchezza antropologica che lo comprende come parte importante, ma che in esso non può esaurirsi. Il lavoro non è la totalità dell’umano. Averne consapevolezza è la condizione per affermare la sua stessa dignità.

In senso generico il lavoro corrisponde alla quantità di energia cerebrale e di forza  fisica impiegate per ottenere una qualsiasi variazione di stati di cose nel mondo. Anzi, se prescindiamo dal lavoro, non riusciamo nemmeno a immaginarci un mondo come cosmos per noi già disponibile e la nostra esperienza assume i caratteri del chaos. Ogni impiego di potenziale energetico neuro-psico-fisico per qualsiasi effetto di ordinamento del mondo, da parte dell’uomo, sarebbe allora lavoro.

In termini più semplici, possiamo considerare lavoro l’attività grazie alla quale giungiamo a disporre di qualcosa che inizialmente ci mancava o era da noi distante. In questa prima configurazione, il lavoro è l’insieme degli atti – pochi o molti che siano –  orientati a porre capo a oggetti o, meglio, a oggettivazioni, cioè a risultati riconoscibili nella loro presenza e, si potrebbe aggiungere, nella loro esteriorità rispetto alla mente umana. L’esteriorità ottenuta con il lavoro non è la medesima esteriorità costituita dalla presenza naturale delle cose. Anzi la prima si ottiene attraverso il superamento della seconda. La natura fornisce certamente al lavoro il materiale per la sua attuazione, ma al contempo oppone resistenza all’attività lavorativa (come il marmo allo scalpello dello scultore). La cosa del lavoro si differenzia dalla cosa della natura e, in misura più o meno grande, passa attraverso la sua negazione. Con il lavoro entra sulla scena l’artificio e, con la sua evoluzione storica, il lavoro si esercita sempre più sugli stessi artifici da esso prodotti. Se, nelle sue celebri definizioni contenute nel primo libro del Capitale, Karl Marx chiamava il lavoro ricambio organico fra uomo e natura, nel lavoro a elevata tecnologia il riferimento alla natura diviene sempre più remoto…

Francesco Totaro

Il lavoro nella ricchezza dell’umano

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