La riflessione di Max Scheler sul lavoro presenta caratteristiche particolari e una complessa varietà di approccio e di ramificazioni che derivano da una chiara costanza di interesse per questo tema lungo i periodi differenti – tanto in senso biografico quanto speculativo – della sua produzione. L’indagine sul lavoro si intreccia infatti con l’intera trama della produzione scheleriana, dal primo periodo jenese fino al saggio Erkenntnis und Arbeit pubblicato nel 1926, a due anni dalla scomparsa del filosofo. Tale interesse deriva dal fatto che nel lavorare umano si manifestano saldamente intrecciati più livelli. Per Scheler, infatti, il lavoro è un’esperienza specificamente umana di trasformazione del mondo più prossimo che tuttavia, consapevolmente o meno, si nutre della relazione con la totalità di senso in cui si trova inserito. Il fatto che questa relazione sia per Scheler originariamente pratica fa sì che il tema del lavoro mostri in modo esemplare, tanto per via storico-genealogica quanto per quella teoretica, la struttura etica ed antropologica dell’uomo ed il suo nesso generativo con le visioni del mondo.
1. Il lavoro borghese come problema. L’interesse che Scheler nutre per il tema del lavoro emerge in prima istanza come interesse per le caratteristiche moderne di esso. Vi è una tipicità del lavoro moderno che egli inquadra da una parte attraverso una ricognizione di tipo genealogico-culturale, dall’altra enucleandone la radice etico-filosofica essenziale. Intrecciando fenomeni storico-economici e piano speculativo egli riconosce il lavoratore borghese come il protagonista del mondo moderno e il «portatore» di una Weltanschauung paradigmatica.
Il ruolo che Scheler assegna alle ricerche di storia economica sul fenomeno del progressivo imporsi, a partire dal tardo Medioevo, dell’iniziativa tecnico-pragmatica nell’attività lavoratrice dell’uomo, è centrale, anche se si gioca all’interno di condizioni metodologiche precise. Tali ricerche hanno il merito di aver riunito i fenomeni nella direzione di una «visione storica unitaria», e Sombart, in particolare, è riuscito a collegare le «più antiche forme di realizzazione del sobrio e forte spirito imprenditoriale a quelle nuove, propriamente capitalistiche» dedicando una importante parte del suo Der Bourgeois ai «fenomeni di transizione» della storia protomoderna. La vera posta in gioco filosofica riguarda tuttavia la possibilità di identificare la portata della frattura imposta dallo spirito capitalistico ed il capovolgimento radicale della comprensione del mondo e dell’uomo che esso ha prodotto…
L’ethos del lavoro borghese in Max Scheler