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Prefisso Paese: Re-

Num°02 ITALY

«Una partita drammatica e incredibile»: così Nando Martellini chiosava il gol di Riva, che riportava temporaneamente in vantaggio gli azzurri contro i tedeschi nella semifinale allo stadio Azteca. Quel commento dice molto del carattere italiano, di una storia – la nostra – incredibile e drammatica, non solo nel calcio.

«Al termine di due ore di sofferenza e di gioia», per riprendere ancora il commento di Martellini, l’Italia andava in finale nella coppa Rimet. Non avrebbe vinto, come sappiamo, ma le sarebbe rimasto per sempre «l’orgoglio di questa splendida semifinale mondiale».

Le riflessioni che seguono cercano di investigare la propensione italica per il colpo di scena, per l’avvicendarsi repentino e teatrale di vittorie e sconfitte all’ultimo minuto, di devastanti insuccessi e di mitiche imprese. Il calcio italiano è forse lo specchio fedele di un Paese, che ha il gusto del rovesciamento di fronte: che non sembra poter vivere senza «emozioni» (il termine è ancora di Martellini), che perde sovente di fronte a tutti la sua dignità, fino all’umiliazione, ma poi la ricupera, traendo energie da un suo fondo nascosto.

Un Paese, il nostro, che sembra non volersi sprecare per successi e riuscite “banali”, lasciandoli agli altri e risparmiandosi (spesso, ma non sempre, in forma velleitaria) per le imprese leggendarie: piccolo in dignità, ma grande di orgoglio.

Anticipo subito la mia tesi. L’essenza dell’Italia, se ve n’è una, sta forse in un prefisso grammaticale. Cercando di rispondere alla domanda sintetica “Chi siamo?” (posto che questa domanda abbia un senso, per un’entità storica collettiva in continuo movimento, come una nazione), si può tentare una formulazione analitica: quello che siamo, si lascia esprimere dal prefisso re–, o ri–.

Non sarebbe un caso, insomma, se i momenti decisivi della storia italiana, hanno un nome, che incomincia con questo prefisso: il Rinascimento, il Risorgimento, la Resistenza, la Ricostruzione.

Se ha un senso tentare qualcosa come una deduzione teoretica dell’italianità (cosa di cui è certo legittimo dubitare), l’analisi grammaticale può forse venire in aiuto.

Prefisso Paese: Re-

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  1. francesca dell'orto

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    Mi piace.
    Un’osservazione: la doppia aspettualità dell’Italia ha, come mi pare emerga anche dal tuo articolo, almeno una radice nella teologia cristiana, in questo senso fortemente in contrasto con l’atteggiamento metafisico (il quale è sempre un pensiero del due, direi, ma che procede per dualismi, cioè per esclusione, e non per aggiunta, cioè per inclusione). Ora, però, levinassianamente, il due non diventa troppo facilmente uno, l’aggiunta inglobamento e l’amore ingiustizia? L’(anti)metafisica dell’aggiunta non sarebbe di per sé insufficiente a garantire la tenuta di una società e, anzi, troppo facilmente corrosiva là dove finisce per impedire, sulla base di una “generosità” ontologica, di distinguere secondo quei fondamenti, di valore, di merito, etc., che normalmente reggono le istituzioni e i rapporti tra gli individui? Non voglio con questo sembrare reazionaria, condivido la tua analisi e anche la tua proposta, ma credo si debba anche considerare la possibilità (ormai già passata all’atto, a giudicare dalla retorica sofistica e qualunquista sdoganata dal berlusconismo, in cui diventa accettabile sostenere tutto e il suo contrario, e le istituzioni vengono internamente delegittimate smascherandone il momento “eccezionale”) che dal due si passi all’omologazione dell’indifferenziato, a sua volta altrettanto violenta quanto la mera esclusione. In questo senso, qual è il “pharmakon” fornito da una teoria dell’aggiunta? Dove risiede la sua normatività?

     
  2. enrico guglielminetti

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    Grazie! Quella dell’aggiunta è una teoria della redenzione, come tale dotata – mi pare – di una normatività intrinseca molto esigente. Che la biaspettualità abbia virtualità negative (ma per fortuna non solo), cerco invece appunto di argomentarlo, e hai ragione a usare il termine “retorica sofistica”. Anticipo anzi che, proprio per questo, il nr. 4 di Spazio filosofico sarà dedicato a “Sofisti”. Ce n’è un sacco in giro, quasi sempre travestiti da apostoli della verità.
    Grazie per il commento.

     
 
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