Ho iniziato a occuparmi del nostro Risorgimento nel 2003, per merito – colpa – di Mario Martone, che mi coinvolse nel progetto di un film. In parallelo alla stesura del copione, sedotto dalla quantità e qualità dei materiali storici e letterari con i quali entravo in contatto, prendeva corpo il progetto di una narrazione ispirata a quella stagione della quale si era persa la memoria. Al punto che io per primo avevo sul nostro Risorgimento, e, dunque, sugli eventi che portarono a edificare la nazione nella quale sono nato, vivo, lavoro, solo poche, confuse, contraddittorie e troppo spesso sbagliate informazioni. I materiali accumulati negli anni hanno infine dato origine al film e a un romanzo, “I traditori”, che poco o niente ha a che spartire con il film di Mario Martone. Se non alcune scoperte, ai miei occhi di narratore e di italiano di oggi, sorprendenti.
Innanzitutto che tutti i grandi e meno grandi artefici dell’Unità non erano anziani e austeri signori dalle barbe polverose, ma giovani, spesso giovanissimi, poco più che ragazzi, animati da una feroce passionalità, vibranti di spirito spregiudicato. Mazzini si scoprì cospiratore a sedici anni, e da allora decise, «fanciullescamente», come annota in uno scritto, di vestire di nero in segno di lutto per l’Italia divisa. Garibaldi, a poco più di vent’anni, era già condannato a morte e costretto all’esilio. Vittorio Emanuele divenne re a meno di trent’anni. Cavour, passato alla storia come il “grande tessitore”, morì a cinquant’anni, «stroncato», scrissero i giornali dell’epoca, «dall’enciclopedica fatica» dell’Unità. Cinquant’anni è, oggi, l’età in cui un politico è considerato qualcosa a metà fra una speranza e una promessa.
Per non dire della sorpresa nello scoprire che Mazzini, Cavour, Garibaldi e Vittorio Emanuele, ben lungi dall’agire in costante e comune concordia, si trovarono spesso su posizioni alternative, contrapposte e inconciliabili.
Brevi note sull’essere italiano