Oggi, quando la politica è diventata una mera manipolazione delle cose al servizio di un tardocapitalismo nel quale l’industria produttiva di merci “tangibili” sta per essere fagocitata da quella dedicata alla produzione di immagini-flusso (a partire dalle banche fino ai canali televisivi o ai produttori di software), e in cui ciascuno viene spinto a raccontare la sua storia personale, tanto meglio quanto più singolare e bizzarra (etnie che diffondono un’art of identity prêt-à-porter accuratamente calcolata nella sua provocatorietà, individui che vendono la propria frenesia sessuale per il consumo di spettatori tranquillamente seduti davanti al televisiore, ecc.), la perversione diventa una sorta di distribuzione massiccia di resti, tanto attraenti quanto indigesti, dello stesso eccesso della macchina capitalista, come se si trattasse di un incubo della volontà di potenza nietzscheana. Ormai non si tratta soltanto delle eterotopie moderne, descritte e denunciate da Foucault e dai suoi epigoni, ma di una produzione calcolata del mostruoso: una teratologia mediatica che si serve degli escrementi del sistema per alimentare virtualmente gli individui, attraverso un circuito di retroalimentazione (mai fu detto meglio), con ciò che non è loro permesso essere nelle piccole porzioni di “realtà”, create dal potere, nelle quali si inseriscono.
Di conseguenza, i tre mali supremi dal punto di vista estetico descritti una volta da Karl Rosenkranz nella sua Ästhetik des Hässlichen (1853), ovvero il criminale, il fantasmatico e il demoniaco, si trovano oggi trasformati violentemente nel grottesco, là dove l’orrore e la farsa si alleano per bloccare ogni affioramento del terrore genuino, primordiale: il terrore che ci ricorda la retrattilità e l’ostilità della Terra. Oggi queste tre figure del Male, ormai antiquate, vengono rinnovate attraverso i media e diffuse come terrorismo, tossicodipendenza e travestitismo. Tre funzioni socialmente asociali, affascinanti per l’immaginario collettivo del buon borghese proprio perché:
1) producono orrore (disseminato ad extra), imposto attraverso la distruzione – tendenzialmente aleatoria, randomized – di vite altrui;
2) piacere (ad intra), che si compie ad limitem nella distruzione della propria vita, e infine:
3) dispersione sessuale (fuzzy limits), diretta all’annichilimento di ogni forma di identità di genere, nominale.
Per cominciare, il terrorista, ovvero la trasfigurazione odierna (e un po’ ridicola, nonostante il suo carattere mortifero) del “demoniaco criminale”, giustifica il suo attivismo non tanto per preservare la propria terra, quanto in osservanza a un mito dell’origine: la credenza nel fatto che questa terra è riempita, saturata dal Sacro. In questo gonfiarsi teratologico del sentimento dell’essere-autoctono, sia il terrorismo proprio dei gruppi etnici o delle terre usurpate sia quello proprio del fanatismo religioso hanno un fondamento comune, ovvero il fatto che la terra in cui una volta, ab initio, si manifestò illo tempore, la Divinità (tellurica o celeste, è lo stesso), si trova ora profanata, irredenta, per il fatto di essere posseduta con violenza dall’Altro. Così, dunque, e per favorire un’ancor più violenta espulsione dal suo territorio (che è prima di tutto quello delle tombe dei suoi predecessori), il terrorista deve essere a sua volta posseduto da questa forza divina che, tuttavia, la sua vittima comprende ovviamente in modo opposto: come un fenomeno di possessione diabolica. Un gioco osceno (nel senso baudrillardiano di una mise en scène assoluta), e alla fine noioso, di manipolazioni di questa duplice possessione che si muove, impazzita, da un estremo all’altro, e la cui unica protagonista sembra essere la Morte.
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