Violenta è un’azione, dotata di un certo grado di intenzionalità e consapevolezza, rivolta a nuocere, danneggiare, fare del male a qualcuno, uomo o altro essere dotato di sensibilità. Molti sono i modi di aggredire e fare del male. C’è la violenza del sangue, la violenza e la violazione del corpo, la sottrazione violenta o la distruzione di beni materiali e simbolici, la violenza psicologica e dei sentimenti, la violenza nelle relazioni sociali, la menzogna e l’inganno, la violenza nell’interazione comunicativa.
C’è uno stretto legame tra violenza agita e violenza rappresentata, ma anche una differenza e una distanza. Il racconto concitato di un fatto violento appena accaduto mantiene una immediata forza comunicativa e ansiogena. Può incuriosire, atterrire, provocare una reazione di fuga o una reazione aggressiva. Ma il racconto può anche acquistare una “distanza” dall’evento ed operare una sua rielaborazione, assumendo innumerevoli forme: forma orale come nell’epica, nel teatro e nella fiaba; forma scritta come nel romanzo o nella cronaca giornalistica; forma di immagine come nel disegno, nella pittura, nella scultura e nelle moderne arti e tecniche audiovisive. I moderni media audiovisivi come il cinema e la televisione si collocano dunque, con le loro specificità, entro questa storia della rappresentazione della violenza. Assumendo un carattere riflessivo, il racconto “prende posizione” di fronte alla violenza che narra e si presta ad un insegnamento, ad una riflessione morale e filosofica, ad una partecipazione collettiva. Può insegnare e tramandare il valore dell’azione violenta, celebrare la vittoria o il sacrificio dell’eroe, intimidire ed ammonire, denunciare l’orrore e le conseguenze della violenza, farne oggetto di una narrazione che avvince e coinvolge.
Gli studi e le ricerche psicologiche e sociologiche sulla violenza nei media contemporanei si sono costituiti intorno a tre problemi fondamentali: 1) quali forme assume la violenza nei media? È la domanda sul contenuto violento dei media. 2) Perché i destinatari ricercano e trovano gratificante l’esposizione alle informazioni e alle narrazioni che hanno un contenuto violento? È la domanda sulle motivazioni dei destinatari. 3) Quali sono le conseguenze dell’esposizione alla violenza rappresentata dai media sui comportamenti del pubblico? È la domanda sugli effetti ed è quella che attira la maggiore attenzione e preoccupazione di genitori, educatori e decisori politici perché costituisce il livello per cui la violenza nei media e dei media può diventare un problema sociale.
La domanda più interessante è però a mio avviso la seconda perché è la più ricca di implicazioni psicologiche e sociali. Essa può essere specificata in questo modo: che cosa fanno le persone con i media violenti? Perché si espongono o ricercano contenuti violenti? Quale piacere o gratificazione ne ricavano? Il presente contributo vuole essere una riflessione, sulla base della letteratura psico-sociologica, su questi quesiti.
A queste domande non si può però dare una risposta univoca. Vi sono molteplici ragioni e condizioni, talvolta collegate, ma anche diverse e opposte, che non possono essere ricondotte entro un quadro unico se non a prezzo di eccessive semplificazioni. Le differenze riguardano il contenuto, cioè l’immagine e il ritratto della violenza, le caratteristiche psicologiche e sociali dei riceventi, le stesse situazioni e condizioni in cui avviene la fruizione, il quadro dei valori di riferimento e il più generale contesto socio-culturale.
1. Il contenuto dei media si colloca sempre tra due poli: fact e fiction, informazione e produzione fantastica. Attraverso i loro diversi generi di racconto i media consentono la dilatazione del nostro orizzonte di esistenza e ci offrono la possibilità di andare oltre noi stessi, di conoscere e confrontarci con altre vite, altre situazioni, altre storie che travalicano l’orizzonte del nostro mondo della vita quotidiana. Il racconto della violenza può assumere caratteri molto diversi a seconda del contesto in cui viene presentata: può trattarsi di una semplice ostensione di atti violenti, una violenza “allegra” e incosciente, prodotta all’ingrosso dalla catena di montaggio dell’industria dello spettacolo o può essere una violenza storicizzata, elaborata selettivamente, colta nei suoi diversi aspetti psicologici e simbolici. O ancora può essere una violenza estetizzata, espressa attraverso i diversi linguaggi espressivi dei media, quali le musiche, gli effetti rallentati, la plasticità dei gesti, la ripetizione dell’atto, che conferiscono alla violenza una particolare “aura” di eleganza e desiderabilità o una violenza mimetizzata attraverso situazioni e soluzioni umoristiche.
Media e violenza: perché guardiamo?