
DIVERSAMENTE SOFISTI: DOPPIOPETTO E CANOTTIERA
EDITORIALE
Abbiamo scelto il tema Sofisti per questo numero di SpazioFilosofico perché ci pareva più preciso nel segnalare un’urgenza di ripensamento, rispetto a quello della Verità. Non è questo il luogo per un censimento di tutti i titoli dedicati alla verità che sono oggi in circolazione nel dibattito culturale, ma sono numerosissimi; anche il relativismo e il post-moderno ricevono attenzioni diffuse. In entrambe le produzioni (sulla verità e il post-moderno) si nota, rispetto a qualche tempo fa, una sorta di liberazione dall’imbarazzo, come se il tabù fosse caduto dalla questione della verità e la si potesse di nuovo nominare senza per questo finire etichettati come metafisici dogmatici. E, dall’altro lato, come se il post-moderno, con il suo relativismo, fosse divenuto ormai un fatto storico, non un progetto o un’idea antitotalitaria, quindi fosse ora passibile di giudizio e il giudizio risultasse decisamente meno positivo di quello di cui godeva come progetto.
L’11 settembre del 2001 è stato un gigantesco fatto, che ha provocato reazioni fino a un momento prima considerate impresentabili, come La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci, e un momento dopo divenute manifesto di un repentino rovesciamento di segno, dal più al meno, attribuito ai tratti indeboliti del pensiero occidentale, un tempo forte. Forte, per gli improvvisamente molti, doveva tornare a significare forte, come i fatti. Finito il tempo delle sfumature, delle interpretazioni, delle culture e della tolleranza che generano vulnerabilità. C’è in giro chi – come i terroristi – approfitta della vulnerabilità raffinata e voluta liberamente e la tramuta in decadenza, e poi in macerie. Forti come i fatti dovevano diventare di nuovo i giudizi di valore, i criteri. Non si può dire che questa sia diventata una posizione maggioritaria, perlomeno non nel mondo intellettuale, ma la rivalutazione della non ignorabilità dei fatti è in atto. Lo è, si direbbe, a titolo di conforto per una parte di mondo che respira aria viziata da troppo tempo, e lo è, ci pare, molto al di là di quanto sia giustificato dal contenuto e dall’apporto teorico che contiene in sé. Somiglia a un canto (sofistico?) delle sirene che, se ascoltato con abbandono, sostiene e guida, toglie dall’ansia di tenere insieme cose complicate in modo complicato. Sembra dunque che racchiuda soprattutto un cospicuo valore d’uso in tempi di crisi.
In questo appello a svegliarsi dal sonno antidogmatico c’è qualcosa di semplicemente regressivo, come nel sermone della Fallaci, ma anche qualcosa di epocale, di nuovo. Ce ne accorgiamo oggi, a dieci anni dal 2001, quando un altro fatto globale anche se non fulmineo, come la crisi economica, è arrivato a livelli non più di tanto interpretabili e ha fatto piazza pulita in pochi giorni di costruzioni sociali e linguistiche improbabili, che se ne stavano lì indisturbate, rovesciate a gambe all’aria, senza che nessuno riuscisse a rimetterle diritte con il semplice uso di argomenti razionali né tantomeno con l’arma naif del “re è nudo”. I nudi fatti storici non sono forse coglibili come tali, ma i loro effetti soprendenti sono un’ottima ragione per prenderli sul serio.
Il risveglio dal sonno antidogmatico non accetta di essere un nuovo dogmatismo, ma al limite un sensato pragmatismo, che non mira tanto al bene, quanto – piuttosto – al meglio. Situazioni, ragioni di opportunità, l’ineluttabilità delle decisioni…In questo lungo e doloroso giro ciò che colpisce è che ci si ritrova in un’atmosfera sofistica in senso originario, proprio quando il relativismo sembrava messo nell’angolo. E il relativismo è davvero nell’angolo, mentre il pragmatismo imperversa in molte diverse forme. Ma la sofistica è stata sia l’una sia l’altra cosa, e per entrambi i motivi è stata ritenuta pericolosa.
Nella nuova impopolarità della sofistica, seguita alle sue molte rivalutazioni, c’è qualcosa da pensare dunque adesso e nuovamente. Non per rivalutarla daccapo, ma per capire meglio quale partita si sta giocando e se ci sono alternative ulteriori rispetto alla scelta, francamente asfittica in politica come in filosofia, nell’azione e nel pensiero, fra i fatti che travolgono la ragione e che si mettono al posto della verità puramente e semplicemente e le ragioni che cavillano in assenza di gravità e di responsabilità, perché tanto la verità è tramontata insieme con la menzogna.
La vittima di questo scontro ad armi pari tra fatti senza interpretazioni e interpretazioni senza fatti, potrebbe infatti essere proprio la verità. Diversamente sofisti, i due partiti si ritrovano insieme nel giudicare per sempre archiviata la questione della verità, se per “verità” si intende qualche cosa di diverso dalla mera corrispondenza (in questa scatola ci sono 100 fagioli). L’esclusione della verità – nella forma dell’addio a essa o nella forma della sua presa di possesso – è il fondo comune, su cui si svolge larga parte del dibattito contemporaneo.
Non chi dice verità, verità, insomma, entrerà nel regno della filosofia. Accade forse in filosofia quello che è già accaduto in politica. Non abbiamo forse visto che i contrari si attraevano? La Milano in doppioppetto, tutta interpretazioni e niente fatti, non va forse d’amore e d’accordo con la Varese in canottiera, zero forma e tutta sostanza? Che differenza c’è tra un doppiopetto e una canottiera? Moltissima, certo, ma in fondo non insuperabile. Le differenze, qui, contano meno delle somiglianze. Non sarebbe ora di cambiare pagina?
I saggi, raccolti in questo primo numero della seconda annata di Spaziofilosofico (buon compleanno!), sono un piccolo contributo in direzione di un’altra Italia, intellettuale e politica. Vi è, infatti, necessità di un cambiamento.
Enrico Guglielminetti, Luciana Regina
Numero 04 – Sofisti